Infographic Worth Viewing (8): Don’t be So Serious, It’s Just Transmedia


 …la ‘questione terminologica’ intorno ai temi del narrare espanso mi affascina e mi fa sorridere. Dal punto di vista accademico sarebbe rilevante arrivare ad un vocabolario condiviso, ma ancora non ci siamo. Dietro il velo delle differenze terminologiche si scorge spesso lo studio degli stessi fenomeni; in altri casi vengono usati indistintamente termini coniati per rimandare ad oggetti culturali diversi. Situazioni che rischiano di creare qualche confusione, ma che consentono anche la scorciatoia di ‘buttarla in caciara’ per usare un gergo romanesco.
Transmedia è il termine che ha avuto più fortuna, intorno al quale si è concentrato il più ampio consenso accademico, anche perchè tra i primi atenei ad utilizzarlo c’è stato il prestigiosissimo MIT…
Se andate un po’ indietro negli anni – a metà degli anni duemila – noterete che nella letteratura europea ed italiana dedicata alle narrazioni espanse, veniva preferito il termine crossmedia. Poi non è mutato l’oggetto di ricerca, ma il modo di chiamarlo…al termine crossmedia è stato sostituito transmedia, quasi a salire sul carro del vincitore semantico (ovviamente Henry Jenkins del MIT con il suo ‘transmedia storytelling’). Ma se la ricerca è frutto di lavoro serio, non è grave: in fondo è assolutamente lecito sceglierle la copertina termilogica migliore. Un esempio in questo senso è Christy Dena, autrice must per chiunque intenda studiare e/o realizzare narrazione espanse. Nel lontano 2004 scrive Current State of Cross Media Storytelling: Preliminary observations for future design, tra i primissimi lavori su queste tematiche. I titoli della sua produzione successiva indicano in maniera abbastanza evidente l’abbandono del termine crossmedia a favore del termine transmedia, cito da ultimo la voce ‘Transmedial Fictions’ scritta da Dena per The Johns Hopkins Encyclopedia of Digital Textuality, in corso di pubblicazione.
Ma in altri casi (il ‘buttarla in caciara’ di cui sopra) si è visto utilizzare il termine Transmedia semplicemente perchè era una parola must, rivestita di un alone di novità irresistibile: riempendosene la bocca si poteva conquistare rapidamente una visibilità riflessa…e questo è valso e continua a valere tanto per autori quanto per eventi. Ed anche per questo oggi il termine Transmedia comincia a mostrare i primi segni di inflazionamento da sovraesposizione…

Su questi aspetti, e non solo, riflette in maniera molto divertente l’infografica seguente, realizzata da Sean Patrick O’Reilly:

assicurati di dire a tutti che è un progetto transmediale, è inserisci ‘immersive world’ o ‘henry jenkins’ in tutte le tue conversazioni

In fondo non bisogna prendersi troppo sul serio…è solo transmedia…

infografica_transmedia_projectVale la pena precisare, comunque, che crossmedia e transmedia rimangono due cose diverse. Le accomuna lo sviluppo su più piattaforme. Ma nel transmedia la differenziazione dei contenuti narrativi destinati ai diversi canali distributivi è maggiore, ma è al contempo maggiore anche l’integrazione di questi diversi contenuti, che seppure dispersi mirano a creare un’esperienza in qualche modo unica, immersiva, avvolgente…In questo senso il transmedia è un di cui del crossmedia.

A presto.
Cor.P

Vi segnalo: Forward/Story 2014


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Vi segnalo Forward Slash Story, un laboratorio residenziale di 3 giorni, che si svolgerà dal 16 al 18 maggio prossimi negli Stati Uniti, non lontano da New York. L’evento è ad inviti, e vale la pena tenerlo d’occhio per i nomi che vi sono coinvolti tra i quali cito Susan O’Connor, writer per titoli che hanno venduto milioni di copie,  come BioShock 1 & 2, Far Cry 2 e Tomb Raider, indicata da Gamasutra come uno dei migliori storytellers dell’industria videoludica; Lina Srivastava, guru delle piattaforme narrative espanse finalizzate al mutamento sociale; Nick Fortugno, tra i fondatori della Playmatics, che ha tra i suoi clienti Lego, Disney Interactive e che ha realizzato il pluripremiato graphic novel game Breaking Bad: The interrogation; ed i co-host Lance Weiler e Christy Dena che, per chi si occupa di transmedia storytelling, non necessitano di grandi presentazioni…
Il lab si propone di esplorare i confini estremi del narrare attuale, e (provare a) trovare in un ambiente collaborativo le vie per espanderli ulteriormente…

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Uno degli output del Lab sarà la produzione di un Report disponibile al pubblico. Penso valga la pena iscriversi alla mailing list per riceverne una copia e verificare in prima persona se la tre giorni sarà effettivamente foriera di stimoli interessanti per chi voglia sperimentare ai confini della narrazione.

A presto.
Cor.P

Xmp intervista Davide Tosco (2)


T_D_1Eccoci alla seconda parte dell’intervista a Davide Tosco, che alla fine della prima parte rifletteva sul ruolo centrale che il marketing e più in generale le finalità commerciali hanno nello sviluppo di narrazioni multipiattaforma…

Xmp: Le narrazioni espanse su più media si caratterizzano anche per i diversi livelli di interazione che consentono/richiedono al pubblico.  Matrix ne prevedeva certamente meno rispetto a Lost…Quale le tue idee in merito? Consentire aree di interazione al pubblico in un contesto narrativo, è sempre un valore aggiunto…o ci sono circostanze specifiche (di prodotto, di genere, di target di riferimento) in cui l’elemento interattivo dispiega tutte le sue potenzialità?

Davide Tosco: Direi che è una questione che riguarda principalmente la tipologia di pubblico a cui ci si rivolge. Il concetto di ‘pubblico generalista’ viene lentamente sgretolandosi, siamo ormai entrati in un era dove chi vuole assiste ad un programma ha la possibilità di nutrire i propri interessi più specifici. E’ chiaro che è ancora una questione generazionale, chi ha 13 anni e possiede uno smartphone sarà naturalmente disponibile (predisposto antropologicamente) a fruire contenuti distribuiti in contemporanea da almeno 3 media diversi (la tv accesa – magari senza l’audio mentre prepara una ricerca sul suo portatile ascoltando la radio e rispondendo in chat sul telefono…), che è diverso dal pensionato che segue un programma di cucina in tv e magari accede alle ricette sul suo personal computer

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Farei però una distinzione tra il concetto di spinoff (ma anche di adattamento in versione videogioco di una storia tratta da un film o serie tv di successo – pianificato in partenza o prodotto a seguito del successo ottenuto) e la complessità di una transmedia franchise. Sono,  per come la vedo io, due cose molto distinte.
Anche se effettivamente la narrazione si evolve a seconda della piattaforma di distribuzione non è detto che vi sia necessariamente un’integrazione della storia o un percorso integrato dove elementi interconnessi offrono all’utente un corpo narrativo interattivo (dando un ruolo parzialmente autoriale al fruitore), e dove, per capirci, come fruitore posso decidere di accedere a (leggi comprare) proseguimenti di una storia su media diversi coordinati tra loro. La commercializzazione della saga Matrix è molto semplice (film, comic, videogioco) ed è pensata come sviluppo funzionale a vendere uno o più commodities di uno stesso brand. Molto più complessa è la sfida che un racconto transmediale o transfiction (Christy Dena) pone sia dal punto di vista di scrittura (qui abbiamo infatti una storia che si evolve sfruttando ‘superfici’ diverse) che rispetto al marketing, al come la ‘vendo’. A differenza del mix-media di Matrix gli elementi di una transfiction vivono in un unicum strutturale. Come scrive Xiaochang LiTransmedia isn’t just about multiple stories or versions, but about creating a rich in-between space, an archive of shared meaning in-between different parts of the story. In short, a universe.Un’offerta transmediale nativa parte con un lavoro di scrittura che sviluppa ogni aspetto della sua presenza su un ventaglio di media e lo fa tenendo conto delle sovrapposizioni, delle biforcazioni, del prima, del dopo e del durante un’emissione, insomma di una meccanica che puo’/deve essere progettata in modo estremamente preciso. Basti pensare ai sistemi di riconoscimento acustico che sollecitano l’attivazione di un secondo schermo (Content Recognition Systems) con i quali posso prevedere il rilascio di contenuti su una device altra, in parallelo al flusso principale, dando accesso sincronizzato a frammenti da fruire in contemporanea a determinate porzioni del programma. Il problema principale qui è il coordinamento delle diverse emittenti/piattaforme che ancora faticano a collaborare. In Italia radio e televisione continuano ad essere ancora molto distanti, non hanno una predisposizione alla collaborazione (se escludiamo le concomitanza di eventi sportivi e festival della canzone), sembra non abbiano particolari interessi all’interconnessione di prodotti concepiti come unicità narrative non-lineari. Bisogna anche dire che non sono molti i professionisti che hanno avuto modo di sperimentare e creare precedenti rilevanti in ambito mainstream. Purtroppo non si è ancora riusciti a realizzare all’interno del servizio pubblico esperienze eclatanti in questa direzione, anche perché non è ancora stata esplicitata una visione e un impegno ad investire le risorse aggiuntive necessarie. Illuminante a questo riguardo la divertente quanto realistica riflessione fatta da Gary Hayes sulle 10 ragioni per cui la maggior parte delle emittenti realizzano progetti multipiattaforma mediocri. L’analisi di Hayes fotografa lucidamente il trend attuale in ambito radiotelevisivo, che riguarda per ora marginalmente l’Italia dove siamo ancora in una fase embrionale. Un’eccezione sono quelle poche realtà, guarda caso pubbliche, che da qualche tempo hanno cominciato ad investire nella produzione di progetti interattivi (ecco due esempi) anche se se si tratta principalmente di progetti web che non si preoccupano più di avere sponde su altre piattaforme, se non formule creative di partecipazione attraverso la rete. Parlando di operazioni non commerciali, ovvero di progettualità che non nascono all’interno di strategie di marketing – dove invece si è fatto molto e sempre di più verrà fatto per creare nuovi formati e formule di fruizione, manca qui da noi una visione oltre che uno stimolo alla ricerca del nuovo. Per quel che mi riguarda posso considerarmi un ‘privilegiato’ avendo di fatto potuto sperimentare, in condizioni sempre rocambolesche va detto, alcune piccole cose. Il fatto che queste rimangano isolate e non siano parte di una nuova tendenza e che comunque abbiano comportato un investimento massiccio in termini di tempo e da attribuirsi al contesto limitato in cui per ora è possibile muoversi.

 Xmp: Ecco, appunto, veniamo ai tuoi lavori in questo ambito…Tra gli altri, quello che più ha attirato la mia attenzione è Transiti…

In Transiti le nove brevi puntate della serie Con gli occhi di una trans venivano rilasciate settimanalmente nel corso di due mesi sui portali Rai grazie alla collaborazione di Rai Net. Ad ogni release il pubblico aveva la possibilità di esprimere una preferenza sul proseguimento della fiction, prima attraverso un semplice sondaggio dopo ogni puntata, dalla 5a votando preview video con brevissime anteprime sulla possibile continuazione della storia. La partecipazione all’evolversi del racconto è funzionale ad introdurre temi specifici che venivano successivamente approfonditi dai personaggi reali di un documentario televisivo (Rai3) e in un ciclo di ‘autoritratti’ radiofonici (Radio3). I titoli di coda del doc tv rilanciavano l’indirizzo web dove era (ed è ancora) possibile accedere a informazioni aggiuntive, schede di approfondimento e ai blog dei/delle protagonisti/e. I social, oltre che annunciare le pubblicazioni delle puntate e le emissioni radio/tv, accompagnavano lo svolgersi del tutto e aggiungevano un ulteriore chiave di lettura davanti e dietro le quinte. Un esempio lampante sull’importanza della crosspromotion è stato lo spot tv che promuoveva un contenuto esclusivamente web: ci sono voluti mesi di negoziazioni con la Rai (che non aveva mai fatto una cosa del genere) ma gli accessi alle pagine in questione hanno dimostrato il valore dello sforzo. Non ci è stato invece permesso di pubblicizzare un numero di telefono che avrebbe dovuto comparire nei cartelli dell’ultima puntata e che avrebbe permesso al pubblico di parlare direttamente con l’attrice/co-sceneggiatrice protagonista della serie (…)

transitiLa capacità di concepire, organizzare e rilasciare in modo preciso queste diverse formule narrative e di farlo, seguendo una logica semplice per il pubblico ma complessa a livello produttivo, è cruciale. In Transiti a parte la caratteristica trimediale nativa, i diversi elementi vivevano di rimandi concettuali, la serie anticipava momenti tematici e frammenti di vissuto dei personaggi reali che potevano essere approfonditi sui blog e sui social con l’aiuto dei personaggi stessi. Operazioni del genere nascono con un’articolazione produttiva maggiore rispetto a produzioni lineari tradizionali. Produrre per piattaforme diverse vuol dire moltiplicare le risorse e le figure professionali necessarie, questa non è al momento percepita come una priorità ne dalla radio ne dalla televisione, dove le risorse per altro cominciano a scarseggiare. Budget già in partenza ridotti per un prodotto lineare devono essere impegnati con parsimonia in un progetto transmediale, dove è facile farsi prendere la mano in fase di progettazione per scoprire poi che non è possibile implementare molte idee ambiziose e visionarie che devono necessariamente essere ridimensionate o abbandonate prima della fase operativa. Per questo le figure dello strategist e del creative producer sono fondamentali. Abbiamo 10 non possiamo fare quello che potremmo fare con 100. Come rendiamo al meglio il valore di 10? Molti aspetti produttivi in Transiti sono stati gestiti da un pool ridottissimo. Giovanni Calia ha curato l’implementazione del sito e l’interazione sui social, l’apporto creativo di Paolo Ceretto  e Alessandro Bernard  invece è stato importante per concepire i meccanismi di interazione e creare un immaginario che partisse da una visione stereotipica e spostasse la percezione sulla dimensione umana. A questo proposito il coinvolgimento di Alessandra Tria è stato altrettanto fondamentale nella fase di scrittura della fiction. Alessandra è una delle protagoniste del documentario tv e vivendo in prima persona la condizione transgender ha permesso di concepire un racconto episodico molto realistico.

Bisogna dire che la scrittura seriale è stato anche il frutto del lavoro di ricerca propedeutico al doc tv e ai 5 ‘autoritratti’ per la radio. La scelta stilistica di affidarsi, con la serialità breve, ad una costante tecnica di ripresa in soggettiva ha contribuito a raccontare in modo fortemente intimo ed evocativo un tema misconosciuto, presentato usualmente in maniera estremamente limitata, quando non fuorviante.

Xmp: Quanto invece a Montessori 3.0?

In Montessori_3.0 sono partito praticamente in solitaria e in modo molto tradizionale dalla radio, con due spazi molto diversi in palinsesto (4 puntate con letture di un testo classico della filosofia Montessoriana e un ciclo di 5 audio documentari sulla contemporaneità del metodo Montessori). L’idea era semplice: offrire sul web un servizio di approfondimento con una serie di materiali collaterali (repertori televisivi, articoli e gallerie fotografiche) e coinvolgere l’emittente Rai Storia per l’emissione di filler storici e promo a rotazione sul canale tematico.

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Un lavoro notevole si è riuscito a impostare anche sui social di Rai Scuola dove, grazie al coinvolgimento di insegnanti, accademici e associazioni un corposo dibattito ha avuto luogo. Questo è per me un esempio di come costruire attorno ad un evento radiofonico un corollario di attività che possano trasformarsi in risorsa permanente allungando la coda del suo possibile sfruttamento. Per me questo aspetto rimane cruciale: che uno sforzo produttivo possa diventare risorsa permanente. Pensando al patrimonio degli archivi Rai trovo che sia incredibile che questi non possano essere consultati telematicamente. Quindi nel piccolo la soddisfazione è aver generato un offerta ampia attorno ad una proprietà testuale, essere riusciti a costruire un servizio di accesso a contenuti tematici che ora rimarranno fruibili al pubblico, ad oltranza.

A lunedì prossimo per la terza e ultima parte dell’intervista.
Cor.P

The Lizzie Bennet Diaries: Orgoglio e pregiudizio ai tempi dei social media


The Lizzie Bennet Diaries (LBD) è una web series che rilegge in chiave contemporanea il classico di Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio. La dorsale narrativa principale è veicolata da un vlog composto da 100 episodi bisettimanali (l’ultimo dei quali diffuso lo scorso marzo), lunghi mediamente 5 minuti.

Non siamo dalle parti del transmedia storytelling, perchè il prodotto è monomediale, sviluppandosi unicamente online. Si tratta piuttosto, prendendo a prestito le classificazioni proposte da Christy Dena, di Inter-Channel storytelling: la storia si dipana su diverse piattaforme di uno stesso canale distributivo: video su youtube, profili sui principali social network, blog…
Questioni definitorie a parte, LBD  merita di essere segnalato perchè alcuni dei suoi punti di forza sarebbero tali per qualsiasi altro prodotto di narrazione espansa. Mi riferisco in particolare alla scrittura brillante (come già detto, transmedia o meno, la capacità di raccontare storie rimane un fattore centrale) e alla grande abilità nell’attivare una comunità di fan che – attraverso il crowdfunding sulla piattaforma kickstarter – ha portato ad un raccolta fondi di 462.000 dollari, a fronte di un obiettivo di 60.000. In realtà questo ottimo riscontro economico deriva anche dal fatto che Hank Green, coautore di LBD insieme a Bernie Su, ha portato in dote al progetto il già ampio seguito di cui godeva (1 milione e duecentomila iscritti) su Youtube, grazie al canale VlogBrothers, gestito insieme al fratello. Ma l’aspetto che va sottolineato più degli altri è che la stragrande maggioranza dei fondi è stata raccolta ex post, dopo il termine di LBD, con l’obiettivo di produrne la versione in Dvd. In altri termini il pubblico ha fornito il proprio libero contributo per un prodotto già fruito gratuitamente…tutto quanto raccolto diventa espressione della gratitudine dei fan nei confronti di chi ha loro regalato preziose parentesi di intrattenimento.

Tornando però al primo dei due aspetti che ho appena citato, ai fan è stata riconosciuta una forte possibilità di interazione e partecipazione non solo nel finanziare il progetto ma anche nel partecipare alla storia. L’abilità degli autori è stata proprio quella di adattare il romanzo di Jane Austen ad un contesto – come quello dei social media e di youtube in particolare – fortemente caratterizzato dalla permeabilità e dalla condivisione degli spazi di esistenza dei personaggi finzionali con quelli del loro pubblico.
A 200 anni dalla versione originale, il pubblico non può cambiare i destini dei personaggi di Orgoglio e Pregiudizio, e può continuare a limitarsi ad un tradizionale seguire lo svolgimento della storia, visto che i video di Lizzie sono assolutamente sufficienti ad avere uno sguardo d’insieme sugli eventi. Il valore aggiunto è però rappresentato dalla possibilità di vivere la storia accanto ai protagonisti, grazie alla loro presenza sui social network (oltre ai profili twitter di Lidia BennetJane BennetBing Lee, Caroline Lee, William Darcy, Gigi Darcy  e alle pagine facebook e Google+ delle tre sorelle, cito la pagina personale di Jane Bennet su Tumblr).

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In altri termini i personaggi del The Lizzie Bennet Diaries abitano lo stesso mondo (…nel nostro quotidiano ha sempre meno senso la distinzione tra vita off ed on line) dei loro fan, sui social network dialogano tra loro e con il pubblico, che anche per questo motivo si è affezionato a personaggi che nella versione originale ricevevano molto meno spazio ed attenzione. Del resto, anche limitando l’analisi a youtube – che come detto ospita il nucleo centrale della serie – l’universo finzionale di The Lizzie Bennet Diaries, è arricchito da numerosi video (il totale arriva così a 153) che vedono come protagonisti gli altri personaggi (ad esempio la sorella Lidya, l’amica Maria Lu, il promesso William Darcy).

Una scelta molto riuscita è stata, poi, quella di far apparire Darcy solo dopo ben 59 puntate, creando un’attesa spasmodica tra i fan. Lo scambio, l’interazione con il pubblico è sottolineato anche dagli episodi Q&A, dedicati proprio a soddisfare alcune delle curiosità espresse dai fan, ricompensandoli della loro vivace ed attiva partecipazione, senza intaccare il continuum della narrazione.

Ma penso che la maniera più efficace per descrivere il legame che LBD ha saputo creare con il proprio pubblico sia citare le parole di una fan italiana, LizzyS:

[…]Adesso chiunque può vedere tutti gli episodi, sì… – ma noi (the fandom, siamo stati definiti), che abbiamo visto la serie mentre veniva mandata in onda, due episodi a settimana, per un anno, abbiamo vissuto un’esperienza unica, irripetibile…Abbiamo vissuto in totale simbiosi con Lizzie e la sua storia mentre avveniva, giorno per giorno. L’abbiamo vista crescere – lei, la sua storia, le sue sorelle, e tutti gli altri – davanti ai nostri occhi.
Abbiamo riempito i giorni dell’attesa tra un episodio e l’altro facendo ipotesi, scambiando informazioni, postando commenti, scoprendo i tantissimi riferimenti diretti al romanzo, seguendo i tweet dei personaggi, interagendo con i realizzatori. (Avete idea di che cosa significa attendere 59 episodi prima di vedere Darcy in carne e ossa? E vederlo apparire solo parzialmente all’ultimo secondo dell’ep.59? Ed aspettare tre lunghissimi giorni per avere, finalmente, il tanto agognato Darcy-day?…)
Abbiamo dato libero sfogo alla nostra creatività creando immagini, disegni, video, fanfiction… divertendoci un mondo, e ricevendo l’attenzione degli stessi realizzatori e attori di LBD – in un tripudio di intreccio tra realtà e finzione! […]

E se il pubblico non ha potuto cambiare la storia, ha comunque influenzato il modo in cui la stessa è stata raccontata…ad esempio il rilievo crescente riconosciuto a Lydia deriva proprio dal grande interesse dimostrato dal pubblico nei suoi confronti, come afferma lo stesso Hank Green

In conclusione, adattare in un contesto contemporaneo Orgoglio e Pregiudizio è un’operazione non particolarmente originale…anzi…
Ma proprio per questo LBD rappresenta un interessantissimo esercizio di stile, avendo dimostrato come una storia tradizionale possa essere raccontata in maniera innovativa, e particolarmente coinvolgente, su internet. Consentendo una partecipazione al pubblico, ed un approfondimento dei personaggi di contorno che non ha riscontro in nessuno degli adattamenti succedutisi da 200 anni a questa parte.
Se non è la storia a fare la differenza, è il modo di raccontarla che può farla, e moltissimo, perchè in un contesto come quello dei social media anche l’adattamento può riservare una sorprendente libertà creativa…

A presto
Cor.P

Ps.: per chi volesse saperne di più su LBD, rimando al fansite italiano.

Quick Quotes (2): Christy Dena


2 – […] Use artforms that you love. Painters, filmmakers, and game developers all work with the artforms they love. For some reason when people are exploring transmedia for the first time, they often choose media that is popular. […] But if you’re serious about exploring transmedia as an artform, then create with media that you already work with, love or are genuinely curious about.

Christy Dena (da un’intervista rilasciata a comicstoryworld.com)

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