Transmedia in Italy (5): Melt-A-Plot


Melt-a-Plot nasce come gioco collettivo per fare cinema in crowdsourcing: un social game in cui i giocatori concepiscono, sceneggiano e creano un film, scegliendo anche gli attori, le musiche, le location, i costumi. L’idea è di Carlo Cresto-Dina, fondatore della casa di produzione Tempesta, che realizza Melt-A-Plot con la collaborazione di Rai Cinema e della Cineteca di Bologna.

meltaplot

Il gioco parte dagli incipit forniti con cadenza periodica sui canali Social di Melt-a-Plot da attori e registi che hanno prestato il loro volto e le loro idee come testimonial del progetto (tra cui Chiara Francini, Fabio Troiano, Alice Rohrwacher, Massimo Lopez e Luca Calvani).

I giocatori (denominati Meltaplotter), dopo essersi iscritti nel sito di Melt-A-Plot, possono inserire il loro contributo scegliendo quale degli incipit sviluppare, scrivendo i propri brick, frammenti di testo da 140 caratteri, che continuano la storia lanciata dall’incipit, o quanto già scritto dagli altri giocatori. In realta in questo caso le opzioni sono due, perché il brick può proseguire quanto già raccontato nel brick precedente, o porsi come percorso alternativo rispetto ad un brick già esistente. Mentre le trame si sviluppano, Melt-a-Plot calcola il gradimento di ogni giocatore, in base a quanto un contributo viene usato da altri utenti. In altri termini ogni volta che qualcuno si aggancia ad un ‘brick’ per continuare la storia, il punteggio dell’utente che ha creato quel contenuto cresce e gli consente di scrivere nuovi brick (al momento dell’iscrizione si ricevono cinque brick per iniziare a giocare).

Periodicamente la storia migliore (e cioè quella più proseguita e quella per cui più spesso è stato cliccato ‘dì che ti piace questa storia’) viene congelata con il meccanismo del ‘freeze’, nel senso che non potranno essere caricati brick per proporne versioni alternative, ma sarà possibile solo aggiungere brick a valle di quanto scritto nel ramo narrativo congelato.
A decidere il vincitore è quindi la community della rete costituita dai giocatori stessi, non una giuria di esperti. La storia più amata, in base a quanto riportato nel regolamento, sarebbe dovuta diventare un film prodotto da Tempesta con Rai Cinema.
Si tratta in effetti di un esperimento di sceneggiatura collettiva, di scrittura in crowdsourcing, di un utilizzo dei social network in modo creativo e collaborativo, che dia vita a un progetto dai risultati concreti.
L’elemento transmediale risiede soprattutto nell’approdo cinematografico del gioco, e nel fatto che questo stesso gioco consenta di narrativizzare anche il processo creativo. Ma dal punto di vista definitorio si è più propriamente dalle parti della narrazione partecipativa, della narrazione espansa…La migrazione multipiattaforma non è certamente l’elemento distintivo di questo progetto.

Melt-A-Plot si è svolto tra il marzo 2013 e l’aprile 2014.
Il 16 aprile 2014 è stata proclamata la storia vincitrice, Looking for fun.

La fase successiva avrebbe dovuto essere quella della effettiva produzione del film. Anche in questo caso l’approccio sarebbe stato partecipativo: i meltaplotter avrebbero potuto proporsi come attori, scegliere le location, scrivere le musiche, disegnare i costumi. Ma in ogni caso, dalla data delle vittoria di Looking for fun, sul sito di Melt-A-Plot non è apparsa nessuna informazione sull’effettiva realizzazione del film…

Un buon esperimento che per ora è finito nel nulla (mi fossi perso qualche notizia sulla realizzazione di un film a partire da Looking for fun, segnalatemelo!)…buona sintesi dello stato del narrare espanso italiano…

Cor.P

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Transmedia in Italy (4): The Garbage Patch State


Il Garbage Patch State è uno stato immaginario fondato l’11 aprile 2013 a Parigi, presso la sede dell’Unesco.
Si tratta in realtà di un progetto artistico di Maria Cristina Finucci – artista italiana – che si propone di creare il simulacro di uno Stato, il Garbage Patch State, appunto, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inquinamento degli oceani, cercando così di contribuire alla loro salvaguardia. Il tema è infatti quello dell’enorme quantità di rifiuti plastici che ogni giorno finisce in mare e poi al centro degli oceani, trasportata dalle correnti in cinque giganteschi vortici, denomati gyres. Nel mezzo di questi gyres si rileva una grandissima concentrazione di materiale plastico, denominata  Garbage Patch. La prima isola scoperta è quella del Pacifico, e si stima sia estesa come il territorio del Texas.

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Ad oggi sono note cinque isole di rifiuti plastici, che occupano complessivamente 16 milioni di chilometri quadrati. Ma l’opinione pubblica ne sa pochissimo, essenzialmente perché sono ‘invisibili’. La ‘invisibilità’ di queste isole ha due ragioni: 1) gli accumuli di plastica si trovano in zone degli oceani assai remote; 2) la plastica, a causa della fotodegradazione, si riduce in pezzi sempre più piccoli, fino a raggiungere dimensioni non percepibili dall’occhio umano. L’idea di partenza della Finucci è quindi quella di creare attenzione su questo tema, e sensibilizzare l’opinione pubblica, dando in qualche modo una visibilità, un’immagine, una tangibilità a queste isole di rifiuti plastici:

Ecco come la stessa Finucci descrive il progetto:

Il fatto che il fenomeno sia quasi invisibile non significa che esso non esista, anzi testimonia quanto sia ancora più pericoloso e insidioso […].Sul web si trovano molte notizie sull’effetto nocivo del Garbage Patch sull’ecosistema, purtroppo però le informazioni scientifiche che sono state divulgate fino a ora non hanno smosso significativamente l’opinione pubblica. L’Arte invece ha un effetto diverso: con la potenza delle immagini e delle azioni può smuovere nel profondo, laddove il pensiero razionale non ha avuto presa.
[…] Se il Garbage Patch è ignorato dalla gente è perché non ha una sua immagine visibile; mi è venuta allora l’idea di creare uno Stato per queste superfici marine formate da plastica […].

Non è questa la sede per misurare e/o giudicare se e quanto progetti di questo tipo riescano nel loro intento di sensibilizzare l’opinione pubblica su questioni legate al rispetto dell’ambiente. Il progetto ha certamente suscitato  interesse in ambito accademico, con gli studenti di varie facoltà che si sono proposti di collaborare per contribuire alla costruzione di questo simulacro.

Il riferimento e, tra gli altri, agli studenti della facoltà di architettura dell’Università Sapienza di Roma – e più precisamente ai dodici partecipanti all’edizione 2013 del Master in Exhibit & Public Design, coordinati da Salvatore Iaconesi ed Oriana Persico – che hanno costruito intorno al Garbage Patch State una narrazione transmediale, per cercare di renderlo più coinvolgente ed immersivo e quindi aumentandone, almeno potenzialmente, la capacità di impatto sulle coscienze dei cittadini.

Ruolo centrale nella narrazione lo svolge la Global Humanity Resource (GHR) istituzione che regola le attività dell’intero Garbage Patch State (GPS), con l’obiettivo di garantirne la crescita economica. Il core business  della GHR è l’Import/Export: raccoglie i rifiuti di plastica dagli oceani, li lavora e li trasforma in nuovi prodotti destinati all’esportazione nel mercato mondiale dove si mimetizzano con quelli realizzati dall’uomo. I nostri rifiuti sono la principale risorsa e ricchezza del GPS: più rifiuti produciamo, più aumenta la potenza della corporation. A sottolineare questo meccanismo, le coordinate del luogo in cui sorge variano a seconda del consumo di plastica dei vari paesi e di come si muovono gli scarichi dei rifiuti, spostandosi di continuo. L’obiettivo della GHR è spingere l’umanità alla produzione di nuovi oggetti in plastica, in un circolo vizioso economico e produttivo che ha come fine ultimo la diffusione virale del consumismo.

Del GPS si conoscono però anche altri elementi, legati soprattutto alla sua cultura e alla sua storia. Molta importanza viene data, ad esempio, all’evento culturale cardine del (GPS), il Sensation Plastic Festival, descritto come una ‘dieci giorni di vacanza all’insegna del divertimento, tra spiagge miracolose, cibo rigenerativo e animali stravaganti!’ Il festival si svolge ogni anno e nel 2013 è giunto alla sua quinta edizione dedicata alla gastronomia…

Al festival è dedicato un sito web che contiene informazioni sull’ultima edizione.

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Oltre al Festival, vengono descritte anche alcune location simbolo del GPS:

Il Tecno plastic museum è il cuore culturale del GPS, ne tramanda la storia e ne conserva i reperti storici più importanti, come ad esempio mappe geografiche e codici antichi, invenzioni,manufatti degli abitanti e statue degli dei. Vi restano tracce dell’antica civiltà aliena che ha creato questo stato, una civiltà basata sulla plastica, che ne conosceva i misteri, la bellezza e la forza molto prima che gli esseri umani la scoprissero. Il Wasteland Zoo, è invece un luogo in cui osservare creature strabilianti mai viste prima, un bestiario aggiornato ai tempi del GPS. Il Plastiforum è un complesso multifunzionale che presenta attività nel campo del cinema, del teatro e della musica. In questo luogo è possibile visionare film e spettacoli sulla storia e sulle attrazioni del GPS State o partecipare a convegni e conferenze.

 

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Dal punto di vista più strettamente narrativo, la storia pensata dagli studenti del Master in Exhibit & Public Design è ascrivibile al filone complottista, sviluppandosi intorno ai blog di 6 personaggi che in un modo o nell’altro cercano di portare alla luce le sinistre mire della GHR.

Il blog del Complottista, contiene articoli su diverse teorie complottistiche. Tra questi anche quelli relativi al GPS e al GHR, che svelano cosa c’è dietro questa multinazionale e come gli interessi della stessa e la diffusione del consumismo nella “nostra” società siano strettamente legati tra loro. Nel blog dello Stolker dei The Toxic Soldiers viene invece insinuato che i componenti dei The Toxic Soldiers, band di punta della scena musicale del GPS, siano in realtà degli alieni. Indosserebbero una maschera antigas non tanto per una trovata pubblicitaria, ma per non svelare il loro volto e il loro problema di adattamento ad una terra che non ha ancora raggiunto il livello di tossicità del loro pianeta di origine. Nel suo blog l’Ambientalista si batte invece per cause animaliste e ambientaliste, denunciando in rete i danni che l’uomo, provoca alla fauna e alla flora del pianeta, pubblicando una serie di articoli sulle modificazioni genetiche del DNA animale che inquinamento ambientale o esperimenti scientifici possono generare, alternati ad altri che trattano più direttamente il Garbage Patch State.

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Il blog dell’Appassionato di antiche civiltà scomparse, è dedicato a civiltà antiche e misteriose. Tra queste anche quella del GPS, con articoli sulle sue origini e la sua mitologia, di cui in realtà si sa pochissimo, e la cui propaggine contemporanea è un misterioso stato galleggiante che si sposta nell’oceano e che è visitabile solo una volta all’anno durante il Festival Sensation Plastic, previa emissione di un visto speciale. Il Sostenitore di teorie aliene con il suo blog cerca invece di documentare la presenza degli alieni sulla terra. I Rioters, membri di un movimento ambientalista, nel loro blog sferrano l’attacco più diretto alla GHR, promuovendo campagne informative ed azioni concrete nei confronti della stessa.

La narrazione transmediale sviluppata con il (ed intorno al) progetto artistico di Maria Cristina Finucci è certamente un caso sui generis.

È una narrazione partecipata, condivisa, poiché oltre agli studenti della Sapienza vi hanno contribuito quelli della Ca’ Foscari, che hanno fornito il loro supporto per la realizzazione del padiglione per la biennale veneziana del 2013, e quelli dell’università Roma3, con un evento programmato per l’autunno 2014 e raccogliendo i tappi di plastica che sono oggetto/simbolo ricorrente in un tutte le istallazioni del Garbage Patch State.

Tornando più specificamente alla narrazione transmediale ideata dagli studenti coordinati da Salvatore Iaconesi ed Oriana Persico, questa sembra più solida nella parte di worldbuilding e nell’apparato iconografico che la accompagna, dalle locandine delle location fondamentali del GPS all’homepage del sito dedicato al Festival Sensation Plastic, per arrivare alle foto delle immaginifiche pietanze del Gpsfood, o a quelle dei componenti dei The Toxic Soldiers. In questo senso sono da segnalare anche le sei ambasciate del Garbage Patch State, progettate e realizzate dagli stessi studenti ed esposte nello spazio antistante il Maxxi di Roma a partire dal 11 aprile 2014 in occasione dell’anniversario del riconoscimento dello stato da parte dell’Unesco, citato all’inizio del paragrafo. In sintesi l’elemento fisico, spaziale, è stato delineato in maniera piuttosto convincente, coerentemente con il fatto che si tratta di studenti di architettura e/o design.

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Ma la parte relativa allo storytelling vero e proprio, ed ai relativi contenuti, è invece meno convincente. Ad esempio il sito dello Zooplastic è di una sola, statica, pagina, e quelli del Plastiforum e del Gpsfood non esistono nel momento in cui scrivo questo post. Anche i blog dei 6 personaggi che si pongono come antagonisti della GHR sono discontinui. Quello del complottista è ricco di informazioni, alimentato con una certa continuità da aprile fino ad ottobre 2013, e collegato con gli altri cinque blog, che hanno invece contenuti esili, e sono stati alimentati solo nel mese di luglio 2013, mentre per progetti di questo tipo è fondamentale far percepire la fonte informativa come ancora attiva a chi ci si imbatta.

Considerando inoltre l’obiettivo di impatto sociale del progetto, si sarebbe dovuto fortificare la presenza sui social network…mentre, ad esempio, i like sulla pagina facebook dedicata al concerto dei The Toxic Soldiers sono solo 35.

Chiaramente queste ultime criticità si legano alla particolare natura del progetto, legato ad uno specifico – e temporalmente limitato –  percorso di studi dei suoi realizzatori (il più volte citato Master).
Per questo stesso motivo un elemento convincente è quello di essersi posti e proposti come caso di studio, documentando in maniera organica e dettagliata il processo realizzativo, con una pubblicazione diffusa tramite la piattaforma Issuu e scaricabile gratuitamente.

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Nel documento vengono descritti i vari elementi della narrazione, i collegamenti che li legano, le varie tecniche utilizzate ed il contributo fornito dai tre gruppi in cui si sono divisi gli studenti (il gruppo The Machine si è occupato del GHR e dei sei blog dei personaggi antagonisti; il gruppo Cultura si è occupato di creare la sfera culturale del Garbage Patch State, dal Festival Sensation Plastic ai siti del  Plastiforum, dello Zooplastic, del Gpsfood, e quello del Museo; il gruppo Mitologia si è infine occupato di sviluppare la mitologia e la storia del GPS). La pubblicazione è un ottimo esempio, probabilmente il migliore in Italia, di come un progetto di questo tipo possa essere comunicato e descritto agli addetti ai lavori, ed anche un prototipo di alcuni dei contenuti che una bibbia transmediale dovrebbe avere.

In sintesi la narrazione transmediale costruita intorno al Garbage Patch State è soprattutto in potenza, principalmente a causa delle limitate risorse economiche disponibili e per il ristretto orizzonte temporale nel quale la si è dovuta realizzare.

A presto.
Cor.P

Transmedia in Italy (3): Blackbox


Per la sua linearità e semplicità, Blackbox, programma televisivo andato in onda su Mtv Italia nel primo semestre del 2008, dal lunedì al venerdi alle 14,30, è un buon esempio ‘didattico’ di transmedialità…in altri termini rende abbastanza semplice spiegare a chi non ne abbia mai sentito parlare cosa significa narrare transmedialmente.

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La redazione del programma raccoglie storie di vita di persone comuni, momenti di passaggio, scelte fondamentali… Ne realizza una ricostruzione finzionale, interpretata dai protagonisti reali. In ogni puntata la ricostruzione si concentra ovviamente su un singolo protagonista; Francesco Mandelli (molto più famoso per essere uno de I soliti idioti) ha il ruolo di guida e narratore da una parte e di investigatore dall’altra, in una storia che arricchita con testimonianze di altre persone coinvolte finisce per destrutturarsi, moltiplicando versioni e punti di vista, disseminando dubbi ed incongruenze, che smentiscono il protagonista e che inducono il presentatore a scandagliare in maggiore profondità il reale andamento della vicenda…
Per lo spettatore l’unico modo per capire come siano andate concretamente le cose, e arrivare alla conclusione veritiera della storia, è connettersi alla rete e fruire dei contenuti video resi disponibili sul sito web del programma o scaricarne la versione per la telefonia mobile. In altri termini, per sapere come è andata a finire, per scoprire se il protagonista ha poi deciso di prendere quell’aereo, di iscriversi a quella scuola d’arte…lo spettatore deve spostarsi dall’apparecchio televisivo al computer, oppure al cellulare, perché è solo sul web che il protagonista, nella BlackBox – il cui nome rimanda alla scatola nera degli aerei, l’unico strumento che consente di scoprire la verità in caso di incidente – pressato dalle domande del conduttore, ricostruisce e spiega le motivazioni dei fatti, più o meno oscuri, narrati nella parte televisiva.
Prodotto da Plastic Multimedia e 360° PlayMaker per Mtv Italia, Blackbox è firmata da Paolo Taggi, (Domenica in, Stranamore, Turisti per caso, La Talpa, Per un pugno di libri, Il grande Talk). Si tratta probabilmente del primo esempio italiano di programma transmediale, con una significativa integrazione di TV, Internet e telefonia mobile. La scelta – molto integrale e coraggiosa – fu quella di rendere ‘obbligatoria’ la fruizione transmediale del prodotto, perché la visione della sola parte televisiva non offre un’esperienza di intrattenimento autoconclusiva. Lo spettatore è costretto a connettersi, perché i due minuti di trasmissione in cui viene rivelata la verità non vanno in onda su Mtv bensì sul suo sito Web.

Nel 2008 un programma di questo tipo era sicuramente innovativo rispetto al semplice rimando al sito che tutti i programmi televisivi e radiofonici offrivano da tempo. Non a caso BlackBox veniva presentato dalla stessa Mtv come un prodotto «pensato per sperimentare nuove forme e modalità di racconto che per realizzarsi completamente hanno bisogno di “viaggiare” su diverse piattaforme multimediali».
La maggiore criticità del programma era però proprio in questo obbligo alla transizione dal piccolo schermo alla rete, transizione che in anni in cui le applicazioni second screen erano ancora ai primordi e l’internet mobile non così diffuso, era meno immediata di quanto non lo sia oggi. È le storie raccontate nel segmento televisivo non sempre erano al punto da tenere lo spettatore sulle spine e indurlo a connettersi subito ad internet per conoscere il finale della storia. Ma soprattutto in questo spostamento dalla tv al web il ruolo del pubblico non mutava particolarmente, non c’era un coinvolgimento attivo – se non quello legato appunto alla migrazione transmediale da tv a web – perché non veniva sfruttata in alcun modo l’interattività del mezzo. Il pubblico rimaneva spettatore, non più davanti ad un televisore, ma davanti al monitor di un computer o al display di un smartphone. In sintesi a fronte di un percorso obbligato, era assente una motivazione forte che lo rendesse significativo in se stesso e motivato e motivante per il pubblico. Per inciso questo spezzettamento della storia su due medium perdeva ancor più senso perché sul sito di Mtv era disponibile l’archivio delle puntate precedenti, fruibili quindi sul web in maniera monomediale pochi giorni dopo la prima tv.

A presto.
Cor.P

Xmp intervista Marco Zamarato (2)


Marco_ZamaratoEccoci alla seconda parte dell’intervista a Marco Zamarato (vai alla prima parte).

Xmp: Parlami del tuo ruolo nella realizzazione di Frammenti.

Marco Zamarato: Come quello di tutte le persone coinvolte in Frammenti i miei ruoli sono sempre stati molteplici e variabili. Assieme agli altri ragazzi di LOG607 (Tomas Barazza, Fabio Salvadori, Giulia Pozzobon e Giulia Salviato) e di Shado (Valerio di Paola, Gianluca Marino), ho seguito tutte le fasi del progetto, dalla creazione della storia e della dinamica di gioco fino all’ultima puntata; ho sempre pensato che il mio compito principale fosse di controllare e mantenere la coerenza della storia ed espandere l’esperienza oltre al video. Poi in pratica questo significa aver speso i mesi iniziali progettando la dinamica di gioco, e poi adattando la storia di Simone Sarasso al nuovo format. Durante la fase di produzione mi sono principalmente occupato della creazione dei giochi e degli enigmi di Frammenti e ancora una volta di assicurarmi che questi si unissero a dovere con le riprese di Valerio (di Paola, il regista degli episodi) in un flusso unico e coerente. Per diversi mesi tutta la storia, i personaggi e gli intrecci, gli enigmi e i ‘frammenti’ sono stati disseminati su decine di fogli di carta che continuavano a essere rivisti, aggiornati e riorganizzati assieme a Tomas, Fabio, Giulia e Gianluca. Bisognava fare attenzione perché anche solo una battuta diversa, o una scena tagliata era in grado di cambiare il significato di una sequenza o invalidare uno dei tanti indizi che avevamo già creato e nascosto, nel web o nel mondo reale.
Come ti ho già detto una grossa parte della produzione di Frammenti per noi di LOG607 è stata la creazione di tutti gli indizi, testi, inserzioni, immagini, siti web, blog, libri etc…

Xmp: C’è qualche tecnica, qualche metodo, qualche strumento, che faciliti almeno un po’ questo mantenimento della coerenza complessiva del prodotto?

Marco Zamarato: Tante checklist e almeno un documento dove l’intera esperienza è spiegata in maniera sequenziale e annotata. Non si tratta della sceneggiatura ma della mappa dell’intera storia/esperienza. Ogni episodio è spiegato con la sinossi in breve della storia accompagnata dalla descrizione dei contenuti ed enigmi correlati e dal processo che (idealmente) gli spettatori devono seguire per svelare la storia e risolvere i giochi. Serve poi una lista di dettagli critici per l’esperienza in modo da poter verificare la correttezza della sceneggiatura, del girato e di qualsiasi altro contenuto prodotto.
Con Frammenti siamo partiti da fogli di carta e siamo arrivati ad avere tutto organizzato in un lungo documento keynote più diversi spreadsheet. A ripensarci oggi sarebbe utile avere tutte queste informazioni separate e disponibili in una sorta di wiki di produzione. In questo modo ogni personaggio, luogo o evento può avere una descrizione precisa e dettagliata che può essere riutilizzata dalle diverse persone coinvolte nel progetto.
Durante lo show abbiamo continuato a seguire e interagire con i giocatori attraverso il personaggio del Maestro. Il periodo della messa in onda è stato caratterizzato da molta improvvisazione perché, nonostante avessimo passato molto tempo a pianificare l’esperienza, la reazione dei giocatori ci ha in un certo senso spiazzato, costringendoci giorno dopo giorno a introdurre nuovi personaggi e storie, seguendo le reazioni del pubblico.

Xmp: Spiegami meglio questo aspetto. In che termini le reazioni dei giocatori vi hanno spiazzato?

Marco Zamarato: Era il nostro primo esperimento di questo genere. Sinceramente non sapevamo che tipo di reazione aspettarci dal pubblico. Per me la cosa più sorprendente è stata la velocità e l’intensità delle interazioni tra i giocatori. Molto spesso gli enigmi e i giochi venivano risolti in poche ore invece dei giorni che avevo previsto. In alcuni casi la discussione si concentrava su un dettaglio che non avevamo pianificato ed era puramente casuale. Normalmente un film o una serie tv richiedono un livello di coerenza e precisione nel montaggio inferiori a progetti come Frammenti. Nelle riprese di Frammenti, Valerio doveva assicurarsi che luoghi e tempi fossero sempre reali e precisi (come in un documentario).
Durante Frammenti ci siamo trovati con molto più tempo da gestire e con alcune fortuite coincidenze che abbiamo sfruttato per ampliare la storia. Ad esempio in una delle ultime puntate di Frammenti i giocatori hanno dovuto recuperare delle informazioni da diverse città italiane e consegnarle a una persona a Milano per ottenere nuove istruzioni; questa sequenza non faceva parte della sceneggiatura ufficiale ma è stata costruita durante lo show. A questo punto i ruoli non esistevano più, noi autori stavamo giocando assieme alla community di Frammenti.

Xmp: Come cambia la prospettiva quando da autori si diventa giocatori insieme al proprio pubblico? Quali i rischi e quali le opportunità?

Marco Zamarato: Il lavoro migliore che puoi fare è quando non ti accorgi più di essere al lavoro, quindi la principale opportunità è il divertimento, e l’imprevedibilità. Non credo ci siano particolari rischi a parte qualche notte insonne, del resto non puoi chiedere alle persone di divertirsi solo dalle 9 alle 5. Il discorso sulla prospettiva è un po’ diverso perché per un autore è come continuare a vedere un lavoro ormai finito ritornare in vita e chiedere nuova attenzione, non è necessariamente un male ma in un certo senso può rendere difficile pensare a nuove storie.

Xmp: Secondo te esiste una via italiana al narrare espanso? Esistono peculiarità, specificità italiane in questo ambito?

Marco Zamarato: Domanda difficile. Non credo ci sia una via italiana al narrare espanso, o almeno, io vorrei che non ci fosse. L’unica specificità che mi viene in mente è la nostra lingua, che in questo caso non gioca a nostro favore perché rende qualsiasi prodotto transmediale confinato all’Italia e riduce inesorabilmente il numero di potenziali spettatori. Diciamo che in generale non mi piace l’idea di ‘italianità’ o di un modo ‘italiano’ di fare le cose.
Il parallelo con il cinema sembra funzionare anche qui, il fantasma dell’italianità continua a impedirci di produrre film e serie tv che possono sperare di interessare pubblico e distribuzioni più ampi all’estero. Eppure potrebbe essere possibile, basta pensare alle serie tv danesi, i romanzi svedesi, i videogiochi finlandesi, la musica islandese e cosi via. Ci sono risorse come la storia e il territorio italiano che potrebbero essere utilizzate ma per funzionare dovrebbero essere sfruttate in chiave più internazionale.

Xmp: Un’idea in questo senso? A cosa, di italiano, daresti respiro internazionale narrandolo in maniera espansa?

Marco Zamarato: Oltre ai soliti sospetti (cibo, vino, storia, arte) ci sono parecchie storie, legate ai luoghi e alle famiglie che li hanno costruiti e abitati che potrebbero diventare la base di ottime storie espanse. Non penso ai grandi eventi ma alle piccole storie, ai retroscena, alle parti che di solito non finiscono nei libri di storia o nei documentari. In questo senso la famiglia è allo stesso tempo uno dei simboli italiani e il luogo dove naturalmente realtà e mitologia/finzione (sempre familiari) si uniscono.
Ricordo ad esempio un film/documentario di Alina Marazzi di alcuni anni fa, Un’ora sola ti vorrei in cui la regista ricostruisce la storia della depressione della madre attraverso frammenti dei suoi diari e dei filmati girati dal nonno. La storia personale trionfa e supera l’italianità eppure nello sfondo resta anche un pezzo di storia di Milano, di certi luoghi che improvvisamente diventano più intimi e familiari. Quante volte ho camminato sotto i portici della Hoepli senza sapere questa parte della storia di quella famiglia.
Il trucco sta appunto nel raccontare queste storie nel modo giusto, lasciando scivolare l’italianità nello sfondo, senza ostentarla.

Xmp: Puoi citarmi – escludendo ovviamente Frammenti – validi prodotti italiani in ambito transmedia storytelling?

Marco Zamarato: Purtroppo non sono in grado di farlo. Dopo aver terminato Frammenti ho lasciato l’Italia trasferendomi prima a Helsinki a poi negli Stati Uniti e tornando a occuparmi di UX design, disciplina che in alcuni casi tocca ancora lo storytelling e il transmediale ma che spesso mi porta a lavorare in ambiti completamente diversi. Questi cambiamenti non mi hanno permesso di restare aggiornato su quanto sia accaduto in Italia negli ultimi anni in questo ambito.
All’estero ho osservato alcuni prodotti interessanti, non tutti strettamente transmediali, ma secondo me meritevoli di attenzione per le loro implicazioni per il genere:
The Silent History, un romanzo espressamente progettato per dispositivi mobili, come dicevo, non strettamente transmediale ma i ragazzi che lo hanno prodotto sono riusciti così bene a sfruttare tutte le potenzialità dei device senza perdere di vista la qualità della narrazione e dell’esperienza. Un altro esempio di formati (questa volta video) ed esperienze ripensate per tablet è Haunting Melissa.

S di JJ Abrams, l’idea non è nuova ma Abrams ha contribuito a sdoganare e promuovere la narrazione transmediale e sembra intenzionato a proseguire su questa strada.
Ingress che dopo l’acquisizione di Google si prepara a trasformarsi da gioco a piattaforma che permette agli sviluppatori di aggiungere dinamiche di gioco geo-localizzate alle loro applicazioni.
Remedy, Spielberg e la nuova XBox One: durante la presentazione della nuova console Xbox Microsoft ha annunciato diversi progetti interessanti tra cui una serie TV diretta da Spielberg e un videogioco, Quantum Break, prodotto da Remedy annunciato come un mix tra serie tv e videogame. Sono curioso di vedere cosa accadrà nei prossimi mesi perché questi progetti sembrano nascere al giusto incrocio tra tecnologia (la piattaforma Xbox, smartglass, microsoft) e contenuto.
Ancora una volta si tratta di incrociare tecnologia, format narrativi e abitudini/canali di fruizione.

Xmp: Esistono professionisti italiani che si stanno mettendo in luce in questo ambito?

Marco Zamarato: Per la stessa ragione di prima non ti so rispondere ma spero che ce ne siano tanti.

Xmp: Retorica sui cervelli in fuga a parte…dal punto di vista professionale lavorare negli Stati Uniti quale valore aggiunto ti ha dato rispetto all’Italia?

Marco Zamarato: Concordo, evitiamo la retorica! Anche perché non sono in fuga da niente. Credo di essere stato solo molto fortunato e curioso, perché faccio un lavoro che permette un buon grado di nomadismo. Ho sempre sognato di poter viaggiare e vivere in luoghi diversi e il mio lavoro è una buona giustificazione per continuare a farlo. Direi che il valore aggiunto principale è nei luoghi, nelle persone, nel cibo e in tutto quello che grazie e oltre al mio lavoro riesco a provare. Poi di sicuro cambiano i clienti, i progetti e i colleghi e in questo momento in particolare qui in California ho la sensazione di essere più vicino a molte delle tecnologie che hanno contribuito a definire la nostra vita. Quindi è interessante ma a livello pratico il mio lavoro quotidiano non cambia da quello che farei se fossi in Italia, quindi nessuna fuga.
La mia sensazione è che noi siamo sempre troppo pessimisti nei confronti dell’Italia e noi stessi e troppo ottimisti verso tutto il resto. Da qui deriva la polarizzazione che porta ai “cervelli in fuga”, con relativa benedizione o condanna della pratica, unite a una costante, pesante consapevolezza di questa “italianità”.

Grazie ancora a Marco Zamarato per la sua disponibilità…
A presto.
Cor.P

Xmp intervista Marco Zamarato (1)


Marco Zamarato, User Experience designer con una passione per la narrazione in tutti i suoi formati, anche quelli meno ortodossi. Vive e lavora tra San Francisco, Helsinki e l’Italia.
In Italia ha partecipato alla creazione di Frammenti, serie TV transmediale trasmessa da Current TV. All’estero si occupa di UX e Interaction Design per clienti internazionali.

Marco_Zamarato

Xmp: Come quasi sempre in queste intervista parto cercando di fare un po’ di chiarezza terminologica… crossmedia, transmedia, intermedia, assistiamo ad un proliferare di etichette, a cui mi pare non corrisponda altrettanto rigore definitorio. Puoi orientarci in qualche modo? Esistono delle differenze o questi termini sono interscambiabili?

Marco Zamarato: Non vedo particolari differenze tra i diversi termini e credo che oggi siano considerati sinonimi. Eppure, a prescindere dalle etichette, ci sono alcune differenze che definiscono i diversi tipi di narrazione transmediale:
Intenzionale vs Accidentale:
Una narrazione ‘espansa’ può essere parte del piano originale del creatore (e quindi costruita o supervisionata dallo stesso) oppure può essere aggiunta in parallelo o a posteriori (non necessariamente per volontà o sotto la supervisione del creatore originale).
Attiva vs Passiva:
Una narrazione ‘espansa’ può richiedere o meno l’intervento diretto del lettore/spettatore per svilupparsi.
A pensarci bene adesso vorrei aggiungere un terzo asse, legato al contesto:
Contestuale vs Non contestuale (in questo momento non trovo una parole migliore). Una narrazione ‘espansa’ può essere progettata per avvenire in un contesto preciso (luogo, tempo e media) o per essere riprodotta/fruita in contesti diversi senza limitazioni.
Non sono un accademico e le etichette non sono il mio forte ma non mi dispiacerebbe vedere una terminologia in grado di evidenziare queste differenze. Magari esiste già ed io semplicemente non ne sono a conoscenza!

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Xmp:  La classificazione intenzionale vs accidentale sembra presupporre ancora la figura dell’autore, di quel singolo creativo che in qualche modo idea e gestisce il prodotto nel suo complesso. Questa figura è ancora attuale anche in un contesto come quello del transmedia storytelling?

Marco Zamarato: Che si tratti di un singolo o di un gruppo (generalmente ristretto) c’è sempre una figura autoriale che conosce l’intera struttura narrativa e sa come evolverla o manipolarla, almeno nel caso di narrazioni che sono concepite sin dall’inizio come esperienze transmediali.
Tradizionalmente non abbiamo nessun problema a identificare lo scrittore come il responsabile ultimo di un romanzo, nonostante ci siano molte altre figure coinvolte, ma se pensiamo al cinema abbiamo dovuto aspettare fino ai Cahiers du Cinéma con Truffaut e soci per iniziare a definire meglio la figura del regista/autore. Ecco, quando parliamo di narrazione transmediale, e proviamo a farlo da un punto di vista autoriale (o intenzionale), non siamo ancora molto lontani dai treni che ‘bucano’ lo schermo. C’è stupore, curiosità, passione e incertezza e come nel cinema ci vorrà ancora un po’ di tempo per la chiarificazione della figura di un regista transmediale. Eppure le responsabilità sono simili, così come lo è impatto sul risultato finale.

Xmp: Quali professionalità specifiche si sono affermate sul (e sono richieste dal) mercato a seguito del successo di questo tipo di prodotti transmediali?

Marco Zamarato: Prima di tutto bisogna sapere costruire e raccontare una buona storia. Tutte le professionalità sono prese in prestito da altri ambiti del digitale; per quanto riguarda la creazione e pianificazione parliamo principalmente di registi e scrittori, game o experience designer.
Per quando riguarda la produzione vera e propria sono necessarie tutte le professionalità tipiche del digitale: sviluppatori, designer, community manager (che poi spesso diventano puppet master), illustratori, copywriter e così via.
Non credo esista una professionalità specifica. Al contrario, forse chi si occupa di transmediale non si identifica con un ruolo preciso ma con il cambiamento continuo tra discipline, sia a livello concettuale che manuale. In realtà questa continua condizione di instabilità non è propria solo del transmediale ma della maggior parte dei lavori generati da internet, mobile e digitale in generale.

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Xmp: Esistono tecniche e strumenti specifici (bibbie transmediali, applicativi ad hoc?) per scrivere questo tipo di prodotti?

Marco Zamarato: Non credo che esistano applicazioni ad hoc o almeno non ne sono a conoscenza. La pratica più comune è quella di ‘manipolare’ altri software o servizi per farli raggiungere lo scopo desiderato. Noi abbiamo fatto così con Frammenti. Si usa quello che si ha a disposizione e quello che manca viene costruito ad hoc.
Ci sono software per scrivere sceneggiature ma sono troppo legati alla tradizione del cinema. Sarebbe utile avere uno strumento in grado di semplificare la separazione tra struttura narrativa, contenuti e loro presentazione finale al lettore. L’intero processo è ancora molto ‘sartoriale’ perché ogni storia è diversa e richiede lavoro manuale. La narrazione transmediale non ha ancora subito tutti i processi di serialità e standardizzazione di altri formati.

Xmp: Un modo di raccontare che rilancia il filo narrativo da un medium all’altro, è davvero così innovativo come gran parte della retorica sul transmedia storytelling da Jenkins in poi tende a suggerire?

Marco Zamarato: Non stiamo parlando della stessa cosa che ogni religione fa da millenni? Battute a parte, se riduciamo il discorso al più semplice passaggio da un medium a un altro, non c’è nulla di nuovo in quello che oggi chiamiamo trans, cross o qualsiasi altra cosa-media.
Se consideriamo i contesti di produzione, distribuzione e fruizione allora ci sono più elementi di cui parlare. Sono un designer e spesso nel mio lavoro mi capita di fare da mediatore tra diverse necessità. Di solito i confini di un progetto sono definiti da tre elementi: persone (desideri, necessità, abitudini), business (obiettivi) e tecnologia (strumenti e processi).
Ecco, se pensiamo a come sono cambiati questi tre elementi negli ultimi decenni allora sì, c’è qualcosa di nuovo nel transmedia storytelling. L’attenzione delle persone si è ridotta, come i tempi di fruizione, i gusti si sono diversificati e specializzati. Allo stesso tempo il modo di fare business è sostanzialmente cambiato, così come le tecnologie a disposizione di tutti. In tutti questi fattori c’è qualcosa di nuovo, curioso e inatteso che genera forme innovative o interessanti di narrazione. Ma il trucco alla base è sempre lo stesso.

Xmp: Il ruolo centrale acquisito dai videogame nella cultura popolare, ha influenzato la diffusione di formati narrativi ludicizzati (soprattutto nelle parti in cui si cerca di garantire maggiore possibilità di interazione al pubblico)?

Marco Zamarato: Non credo. C’è sicuramente un doppio legame tra narrazione e videogame ma in entrambe le direzioni si manifesta in prodotti di nicchia che sono solitamente distanti da quello che si riconosce come cultura popolare.
Credo (e spero) che in futuro ci saranno formati più ibridi con possibilità interessanti. Se penso che già oggi una buona parte di film è prodotta in CGI inizio a non vedere la differenza tra un videogioco e un film, almeno dal punto di vista tecnico. Ma come ho detto prima dobbiamo considerare anche persone e business e qui le cose si fanno più complicate.
Piuttosto che nei videogiochi vedo un’influenza più forte nel marketing.

Xmp: …legandomi a questo…in contesti narrativi di questo tipo, è ancora possibile distinguere il marketing della storia dalla storia vera e propria? Ed ha ancora senso farlo?

Marco Zamarato: Si. Proprio per il discorso sull’autore che facevamo prima; dipende da come l’autore ha concepito e sviluppato la storia e dal livello di controllo che vuole avere sull’intero materiale narrativo. Se una storia nasce transmediale è probabile che, come dici tu, non ci siano differenze visibili tra marketing e storia. In altri casi ‘accidentali’ credo che la differenza si possa vedere se non altro per una differenza di tono e sensibilità, non necessariamente di qualità.
Credo che questa sia ancora una differenza da tenere a mente. Transmediale ‘accidentale’ ha uno scopo ben preciso, promuovere la storia; transmediale ‘intenzionale’ è a servizio della storia stessa e della volontà dell’autore, funzionando allo stesso tempo come strumento di promozione.

Xmp: Tra quelli tradizionali, c’è un medium che più degli altri sta dimostrando flessibilità nell’adattarsi a queste produzioni che si rilanciano da un canale distributivo all’altro?

Marco Zamarato: Il cinema sembra essere più ricettivo, forse per via dell’importanza del marketing e del merchandise o di una minore resistenza culturale.

Ma non credo sia tanto una questione di medium quanto di attitudine degli autori. Nelle mani dell’autore giusto qualsiasi medium diventa malleabile. Del resto quasi tutti i media tradizionali stanno attraverso un periodo di crisi e adattamento quindi hanno tutti un buon grado di flessibilità.

A lunedì prossimo per la seconda parte dell’intervista a Marco Zamarato.
A presto.
Cor.P

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