Vi segnalo: Barry Wellman all’Università Sapienza di Roma


Vi segnalo l’incontro con Barry Wellman che si terrà il prossimo 5 giugno 2014  a partire dalle 15, presso l’Università Sapienza di Roma, aula Oriana, Dipartimento CORIS, Via Salaria 113.

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Barry Wellman è tra i pionieri della Social Network Analysis e tra i padri fondatori degli Internet Studies. Già a partire dagli anni Settanta ipotizzava che la società non fosse organizzata in comunità coese, quanto piuttosto in network, introducendo successivamente concetti centrali per l’analisi delle relazioni sociali (anche) mediate dalle tecnologie, come la privatizzazione della sociability e il networked individualism. Attualmente dirige il NetLab presso l’Università di Toronto.

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L’originalità e il rigore delle sue ricerche hanno contribuito a sfatare utopie e distopie sulla rete fin troppo diffuse negli ultimi anni, proponendo una lettura attenta solo a ciò che le persone fanno con le tecnologie. Nel libro Networked. Il nuovo sistema operativo sociale, curato insieme a Lee Rainie ed a partire dal quale si svolgerà l’incontro, afferma infatti che sono le pratiche culturali e sociali a stabilire come le opportunità tecnologiche possano essere valorizzate e in quale direzione debbano evolversi: in questo senso i device tecnologici costituiscono solo i mezzi tramite i quali le trasformazioni del tessuto sociale possono esprimersi e incrementarsi.

Concludo citando parte dell’introduzione di Alberto Marinelli all’edizione italiana di Networked:

L’attenzione di Rainie e Wellman alle trasformazioni tecnologiche, come abbiamo visto, non è mai fine a se stessa e non assume una valenza determinante. La diffusione straordinaria dei device personali o il successo planetario di Facebook rappresentano solo dei fattori tecnologici abilitanti, che hanno sicuramente contribuito al rimodellamento dei network sociali, consentendo un decisivo incremento delle loro dimensioni e del loro grado di diversificazione, ma sono sempre le pratiche culturali e sociali a stabilire come le opportunità tecnologiche possono essere valorizzate e in quale direzione debbano evolvere. Allo stesso tempo, si può affermare che nessuna di queste tecnologie abilitanti costituisce oggi un sistema isolato o in grado di isolare le persone, come spesso si è temuto in passato, nelle prime fasi di sviluppo del personal computer e delle reti. I device tecnologici e le opportunità di comunicazione che essi incorporano sono oggi perfettamente integrati nella vita sociale, tanto da essere quasi indistinguibili nei quotidiani contesti d’uso. Della complessiva sintonia cui abbiamo fatto riferimento fa parte anche questa visione molto più serena e“normalizzata” rispetto alla possibilità delle tecnologie di incidere sulle identità personali e sulla vita sociale.
[…] Sul piano teorico, Wellman ha attraversato con il suo lavoro – e contribuito a ricostruire criticamente – il passaggio degli internet studies attraverso diverse fasi, incrociando il lavoro di ricerca condotto da Rainie. La prima fase (metà degli anni Novanta del Novecento) è caratterizzata dalle opposte estremizzazioni degli utopians, tecnoottimisti che vedevano in internet uno strumento di liberazione, e dei distopians, che temevano che le tecnologie potessero isolare gli individui, minacciando la coesione sociale e intaccando l’autenticità delle relazioni sociali, divenute virtuali. Nella seconda fase (fine anni Novanta), si registra una crescente attenzione per le tecnologie digitali da parte di mercato e istituzioni, insieme a una parallela progressiva integrazione delle stesse nella vita quotidiana delle persone comuni. In questa fase, si iniziano a svolgere sistematiche ricerche empiriche su ampia scala sull’uso di internet, documentandone la diffusione, osservando il comportamento degli utenti e l’integrazione di internet nelle loro pratiche quotidiane, con un ampio ricorso agli strumenti classici della ricerca sociale. Non è casuale che proprio nel 1999 viene avviato il Pew Internet Project diretto da Rainie, che comincia a fornire non solo agli studiosi ma anche ai politici e al mondo dell’informazione le tendenze più aggiornate sull’evoluzione del rapporto tra tecnologie e società. Nella terza età degli internet studies (che Wellman individua a partire dal 2004), la diffusione del cosiddetto “web 2.0”, da un lato, enfatizza le opportunità di utilizzo delle tecnologie in chiave relazionale e partecipativa, dall’altro, le considera, ormai compiutamente “embedded” nella vita reale, anche per effetto della crescente diffusione dei mobile personale devices. Networked si pone quasi idealmente come sintesi della straordinaria avventura di ricerca vissuta dai due autori nell’arco degli ultimi quindici anni; si sostiene sulla stretta integrazione tra ipotesi teoriche e dati empirici; propone una lettura finalmente libera da utopie e distopie, attenta solo a “ciò che le perso ne fanno con le tecnologie”. Per questo motivo non solo riesce a cogliere i tratti strutturali dell’impatto sociale di internet ma prefigura gli scenari che saremo chiamati ad abitare nei prossimi anni.

A presto.
Cor.P

 

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Vi segnalo: Transmedialità e costruzione del reale


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Vi segnalo la conferenza Transmedialità e Costruzione del reale. Comunicare il design nell’era dell’informazione, che si terrà alle 18,00 del prossimo 29 aprile presso la sala Graziella Lonardi Buontempo del Maxxi B.A.S.E. e alla quale avrò il piacere di partecipare come relatore.

Di seguito il comunicato stampa di presentazione dell’evento:

Provate a realizzare una falsa rapina in banca e fallirete miseramente, non riuscirete a fare una “falsa” rapina perché realtà e finzione si mischieranno in modo irrimediabile. Jean Baudrillard usa questo esempio calzante per descrivere il simulacro: una sorta di sospensione in cui è impossibile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso, una condizione nella quale la nostra mente è costantemente e sempre più immersa.
Esistono degli indizi – raccolti attraverso quello che vediamo, annusiamo, ascoltiamo, leggiamo sui giornali, di cui facciamo esperienza sul web – che messi insieme ci fanno immaginare alcune cose piuttosto che altre. Tutti questi indizi si compongono nella nostra mente per formare quello che sappiamo del mondo. Una conoscenza che contiene tanti vuoti che riempiamo tramite un atto performativo, creando un modello mentale delle cose che ci circondano.
Questo è il modo in cui opera il nostro cervello: una modalità che tecnicamente si definisce “transmedialità”. Uno dei problemi più attuali del design è quello di non cogliere appieno tale possibilità, di non attivare modalità performative nelle persone, trascurando la transmedialità propria del nostro cervello. La conferenza si interroga proprio sulla transmedialità e sulle forme di comunicazione avanzata come opportunità per il design, cioè la possibilità di creare non solo un oggetto – un evento, un allestimento… – ma anche di descrivere, inventare, costruire virtualmente il mondo in cui questo oggetto vive. Sempre più world building e transmedialità sono cruciali nel mondo contemporaneo nel quale i media sono ubiqui. Smartphone, tablet, internet, social network, flash mob, etichette interattive, sensori, pubblicità, messaggi: la comunicazione ubiqua, nomade e interstiziale crea continuamente indizi su ciò che è vero, desiderabile, possibile, e che noi utilizziamo per formare i nostri modelli mentali del reale.
Nel corso dell’incontro sarà anche presentata la pubblicazione digitale “Un Simulacro per il Garbage Patch State” realizzata dagli studenti del Master in Exhibit & Public Design A.A. 2013. Un mondo virtuale e verosimile costruito intorno al Garbage Patch State, lo “Stato” fondato a Parigi nella sede dell’Unesco l’11 aprile 2013 dall’artista Maria Cristina Finucci costituito dalle gigantesche 5 isole di rifiuti che vagano negli oceani. La sua prima Festa Nazionale è celebrata con una installazione dell’artista sulla piazza del museo e l’apertura della sua prima Ambasciata a cui gli studenti del Master in Exhibit & Public Design partecipano con la mostra “6 Ambasciate per il Garbage Patch” allestita all’interno del Padiglione Educazione del MAXXI.

Partecipanti:
Margherita Guccione – Direttore MAXXI Architettura
Cecilia Cecchini – “Sapienza” Università di Roma, Direttore del Master in “Exhibit & Public Design”
Salvatore IaconesiAOS Art is Open Source, docente, artista, hacker
Andrea NatellaKook Agency, giornalista, esperto di comunicazione anticonvenzionale
Corrado Peperoni – “Sapienza” Università di Roma, esperto di narrazioni crossmediali
Oriana PersicoAOS Art is Open Source, docente, artista, esperta di comunicazione

Master-invito-conferenza-transmediale-960x456A presto.
Cor.P

 

Indie Transmedia: The Cosmonaut (1)


Come ho già avuto modo di dire l’espansione del flusso narrativo su più piattaforme mediali non necessariamente pressupone la disponibilità di budget elevatissimi. Se prodotti costosamente mainstream come Matrix, Lost, Avatar sono frequentemente citati nei transmedia studies, The Blair Witch Project, prodotto indie per eccellenza, è altrettanto spesso menzionato come caso di studio seminale…e come non citare nuovamente Lance Weiler, che ha costruito gran parte della sua fama e carriera da transmedia guru grazie a produzioni lontane dai circuiti mainstream (The Last Broadcast, Head Trauma, Pandemic 1.0).

Su queste stesse traiettorie si muove The Cosmonaut, franchise transmediale spagnolo ideato e realizzato dal collettivo indipendente Riot Cinema, il cui lancio mondiale avverrà attraverso un’intensa serie di eventi – la Cosmonaut Week – dal 13 al 18 maggio.
Circa la metà del budget complessivo (860.000 dollari) è stata raccolta attraverso la piattaforma di crowdfunding spagnola Lanzanos, grazie alle donazioni libere (soglia minima 2 euro) di 4.500 persone.

The Cosmonaut, prodotto che definirei entusiasticamente indipendente è ambientato a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Settanta, quando la sfida tra le due superpotenze – Usa e Urss – trovò nella corsa allo spazio e alla conquista della luna un ulteriore ambito in cui dimostrare la propria supremazia. La storia inizia nel 1967: Stas e Andrei, giovani amici, arrivano al centro di addestramento per cosmonauti russi Zvezdny Gorodok, più comunemente noto come Star City. Vivranno in prima persona gli intrighi, le lotte di potere, gli abusi, i successi ed i tragici fallimenti russi nella corsa allo spazio.  E conosceranno Yulia, giovane ingegnere delle telecomunicazioni, con cui intesseranno un profondo rapporto di amicizia…

Molta parte della storia trae ispirazione dal mito dei Lost Cosmonauts, martiri russi della corsa allo spazio, astronauti scomparsi nel nulla, nei primi fallimentari lanci orbitali del colosso comunista, rimasti segreti proprio per questo loro tragico epilogo. In sintesi i sostenitori dell’esistenza dei cosmonauti perduti ritengono che Yuri Gagarin non sia stato il primo uomo a raggiungere lo spazio, ma il primo a tornarne vivo. Nella realtà non esistono prove incontrovertibili sull’esistenza di cosmonauti sacrificati alla causa comunista, ma buona parte del fascino del franchise deriva proprio dalla capacità di calare tematiche e scenari tipicamente Sci-Fi in un contesto storico – quello degli anni della guerra fredda – ancora radicato nella memoria collettiva.

Intorno al nucleo centrale, rappresentato da un lungometraggio, il franchise raccoglie svariati contenuti transmediali, tra i quali 35 webisodes lunghi dai 2 ai 15 minuti, due documentari (The Hummingbirs e Fighting Of) e due volumi cartacei (The Voyage of the Cosmonaut e Poetic for the Cosmonaut).

I webisodes – realizzati utilizzando parte del girato rimasto fuori dal lungometraggio, o filmati ad hoc – approfondiscono aspetti che rimangono oscuri nel corso del film. Il più significativo è probabilmente The Moon Files, che svela cosa accade a Stas quando, subito dopo l’allunaggio, perde temporaneamente il contatto radio con la terra.

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Hummingbird è invece un mockumentary: tre filmakers seguono la troupe di The Cosmonaut in Russia per girare il making of del film. Vengono contattati da Anna, che si presenta come la figlia di uno dei cosmonauti dispersi; decidono di indagare, andando alla ricerca di prove dell’esistenza di questa pagina oscura e segreta nella storia dell’agenzia spaziale russa, visitandone i luoghi e raccogliendo testimonianze.

The voyage of the cosmonaut è un libro da collezione, una sorta di album di ricordi dei tre protagonisti del film: foto, appunti, annotazioni private intrecciate con gli eventi storici che fanno da sfondo alle vicende di Andrei, Stas e Yulia. Come detto il franchise comprende anche un altro libro, Poetics for Cosmonaut, sorta di poema visionario sull’epopea spaziale, ed un secondo documentario Fighting of, su cui tornerò più avanti…

La scelta di realizzare un racconto che si sviluppa lungo traiettorie transmediali deriva dalla convinzione dei tre autori – Nicolas Alcala, Carola rodriguez e Bruno Teixidor – che il cinema abbia un suo punto di fascino insuperabile nella fruizione in sala, ma debba adeguarsi a tempi in cui la fruzione mediale espansa è ormai la regola. Il cinema deve farsi esperienza, ancor più di quanto non lo sia sin dalle sue origini:

Cinema seems trapped in films which last 90 to 120 minutes for reasons now obsolete (film cans, advertising pauses…).

The Cosmonaut è un franchise transmediale che trovo interessante per molteplici ragioni…le modalità di finanziamento, il modello distributivo, la capacità di creare e gestire una community estremamente partecipe, l’entusiasmo e la freschezza trasmesse dai suoi tre ideatori, il loro essersi consapevolmente proposti (mossa assai intelligente) come caso di studio…e la grande, sinergica, coerenza con cui tutti questi elementi sono stati declinati. Tutti aspetti su cui tornerò nella seconda parte del post.

Per ora aggiungo solo che, come brevemente detto sopra, il lancio del film avverrà in una serrata settimana di eventi, la Cosmonaut Week: la premiere di Madrid (14 maggio) sarà seguita da conferenze, think tank e proiezioni in diverse città del mondo, richieste ed organizzate grazie al supporto dei fan (in Italia il film verrà proiettato a Bologna nella sala Kinodromo). La settimana si concluderà con la proiezione evento a Barcellona (18 maggio). Da quel momento (fra sei giorni…) il film sarà disponibile gratuitamente in rete.

A presto.

Cor.P

Transmedia Videogame: Halo e Josh Holmes alla View Conference 2012


Halo è un franchise videoludico, sviluppato a partire dal 2001 per la console Xbox della Microsoft. Dopo il successo degli esordi, l’universo di questo sparatutto si è espanso attraverso romanzi, serie a fumetti, serie di animazione e un’enciclopedia.
I romanzi, pur se organizzati in trilogie, sono autoconclusivi. La prima trilogia, che comprende La caduta di Reach, I Flood e Il primo attacco, narra eventi antecedenti e/o contemporanei alle trame dei giochi. La seconda, composta da I Fantasmi di Onyx, Contatto su Harvest e Il Protocollo Cole esplora invece linee narrative diverse da quelle della saga principale, ma comunque legate ad essa. La terza trilogia – Cryptum, Primordium e Silentium – torna indietro di migliaia di anni per parlare della mitica civiltà dei Precursori e della costruzione degli stessi Halo. Un’ulteriore trilogia, chiamata Kilo-5, narrerà di eventi successivi ad Halo 3 ed a I Fantasmi di Onyx.
L’enciclopedia è invece un ponderoso volume di oltre 350 pagine, sorta di guida spaziotemporale per addentrarsi, ed orientarsi, nei meandri di questo universo videoludico.
L’esordio a fumetti è datato 2006, con una graphic novel divisa in quattro racconti distinti, che colmano alcuni dei misteri lasciati irrisolti dal videogioco.
Nel 2007 la Marvel pubblica una miniserie a fumetti di quattro episodi, Halo Uprising, incentrata su vicende avvenute tra Halo 2  e Halo3. Halo:Helljumper e Halo: Bloodlines sono altre due miniserie che, come la prima, sono pubblicate in Italia dalla Panini. Halo: fall of reach è infine l’adattamento a fumetti del romanzo omonimo.
Halo Legends è invece una serie di sette corti animati usciti in Italia in Dvd nel 2010. Sul modello di Animatrix per Matrix, i corti raccontano eventi ancora non svelati in questa epopea ludica.
Quello di Halo è quindi un universo transmediale molto complesso e piuttosto peculiare. A differenza di altri franchise videoludici di successo planetario, non ha infatti ancora trovato un’espansione cinematografica (la fase progettuale del film, che aveva coinvolto grandissimi nomi del mainstream cinematografico mondiale, è interrotta ormai da tempo). Interessante anche il fatto che l’espansione transmediale realizzata con il romanzo La caduta di Reach, sia stata a sua volta oggetto – come visto – di un adattamento a fumetti. Questo rende evidente come in un franchise transmediale coesistano momenti di effettiva espansione dell’universo narrato (transmedia storytelling) e momenti di forte ridondanza (transmedia adaptations).
È in ogni caso chiaro quanto l’esistenza di una visione centrale, capace di stimolare l’espansione dell’universo ed al contempo garantirne una coerenza complessiva, sia di vitale importanza per il successo di questi franchise.
Josh Holmes
Di questo e tutti gli altri aspetti connessi al mondo Halo parlerà Josh Holmes il 16 ottobre prossimo a Torino, nel corso della ViewConference. Holmes, apprezzato disegnatore e produttore di videogiochi, è infatti conosciuto principalmente per il suo lavoro come produttore esecutivo e poi direttore creativo del videogame Halo. Attualmente è direttore creativo alla 343 Industries, la videogame factory della Microsoft, costituita proprio per occuparsi dello sviluppo e della promozione transmediale del franchise, con la costruzione di storie distribuite su molteplici media, ma legate tra loro. Il 6 novembre lo studio pubblicherà il primo titolo videoludico sviluppato internamente, Halo 4. Significativamente l’intervento di Josh alla ViewConference sarà intitolato Halo Reborn: Building a Studio, Crafting a Universe a sottolineare come la costruzione di prodotti di questo tipo non possa prescindere da un apparato produttivo strutturato ad hoc e dotato di professionalità di altissimo livello ed altrettanto elevata specializzazione.
A presto.
Cor.P

Vi segnalo: Contemporary Screen Narrative (Nottingham-UK)


Vi segnalo la conferenza Contemporary Screen Narrative che si terrà all’Università di Nottingham il prossimo 17 maggio. Oltre che per l’argomento, la conferenza è di sicuro interesse per i due keynote speakers, Henry Jenkins e Jason Mittell. La deadline per la presentazione di contributi è fissata al 4 marzo 2012.


Di seguito il cfp completo:

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Deadline for proposal submission is now: 4 March 2012.

Conference is to be held on 17 May 2012 at the University of Nottingham.
Keynote speakers: Henry Jenkins and Jason Mittell.
Contemporary Screen Narratives: Storytelling’s Digital and Industrial Contexts Hosted by Department of Culture, Film and Media, University of Nottingham

This one-day conference looks to trace connections between the narratives of contemporary screen media and their contexts of production, distribution and consumption. We refer here to narrative as the presentation and organisation of story via the semiotic phenomena of image, sound and written/spoken word. We anticipate that speakers will explore ways in which stories and their on-screen telling are informed by contemporary industrial and technological conditions. We invite contributions from postgraduate and early-career researchers working across screen-based narrative media, such as film, television, comics, literature, video games and other areas of new media. We are interested to receive all paper proposals pertinent to the conference topic, though we particularly welcome those that engage with the following themes and questions:
Industrial determinants. In what ways are stories and their telling contingent on the production cultures, distribution methods, revenue models and governmental policies that configure a given creative industry?
Digital Technologies. How has the construction and/or reception of narratives been influenced by digital production equipment, distribution tech, online platforms and consumer hardware devices?
Seriality and Transmedia: In what ways do serial narrative forms, whether disseminated within a given medium or across multiple media, reflect industrial and technological contexts?
Audio and Visual Styles: How are the sounds and visions of contemporary screen narratives informed by conditions of production and reception technologies?
Paratextual Surround: In what ways do promotional materials, practitioner discourses, fan cultures and critical/journalistic responses discursively frame screen narratives?

 
Send abstracts of 250 words to both:
Anthony Smith – aaxas4@nottingham.ac.uk
and
Aaron Calbreath-Frasieur – aaxac2@nottingham.ac.uk
Papers should not exceed twenty minutes in length.

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A presto

Cor.P

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