Eccoci alla seconda e ultima parte dell’intervista a Matteo Bittanti, che al termine delle prima parte si era espresso in termini molto critici sul transmedia storytelling quando utilizzato come strumento di marketing evoluto, ritenendolo per questo, nella maggior parte dei casi, ‘una gran perdita di tempo’.
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Xmp: In contesti narrativi e/o videoludici di questo tipo, è ancora possibile distinguere il marketing della storia dalla storia vera e propria? Ed ha ancora senso farlo?
Matteo Bittanti: La “storia” è marketing e non mi riferisco solo al product placement.
Xmp: Molto di quanto abbiamo parlato fin qui è riconducibile a quel termine gamification che, proprio con transmedia, si contende per me il titolo di buzzword degli ultimi anni…Luca Giuliano, nella sua intervista, su questo punto si è espresso in questi termini ‘Francamente, navigo per questi mari da più di trent’anni e mi sembra che non ci sia nulla di particolarmente innovativo. E’ stata sicuramente una bella invenzione di marketing per rivendere cose già note. Gli americani in questo sono bravissimi. Non riesco a vedere nulla di nuovo quando si parla di applicare il gioco a pratiche di apprendimento, addestramento, comunicazione pubblicitaria o quant’altro.’…
Matteo Bittanti: Condivido pienamente la posizione di Luca Giuliano. La gamification è l’espressione neoliberista del marketing, un bieco strumento di promozione che sfrutta dinamiche e meccaniche ludiche improntate sulla performance per “coinvolgere” l’utente. Gli americani hanno semplicemente riconfezionato e re-impacchettato strategie di marketing collaudate. La gamification è come Margaret Thatcher, che usava l’economia per riconfigurare l’anima. Sostituendo “gioco” a economia, il risultato non cambia.
Xmp: Un modo di raccontare che rilancia il filo narrativo da un medium all’altro, è davvero così innovativo come gran parte della retorica sul transmedia storytelling da Jenkins in poi tende a suggerire?
Matteo Bittanti: Non ho mai condiviso l’entusiasmo di Jenkins per il transmedia e per il fandom digitale: alla prova dei fatti, le presunte pratiche emancipative a cui allude lo studioso americano sono deboli, fragili e inconcludenti. Le corporation tollerano prodotti derivati – per esempio, il machinima o i supercut – solo nella misura in cui la narrazione proposta celebra e promuove i valori dell’azienda. Il dissenso, la critica e la riflessione non sono contemplati: non c’è uso leale che tenga. Basti vedere la reazione di LEGO all’opera di Zbigniew Libera, LEGO Concentration Camp (1996) o quella di Rockstar Games a The Highest Score dell’artista americano Dave Beck, che ho descritto in GameScenes. Art the Age of Videogames (2006). Quando i fans non celebrano il brand, la polizia del copyright entra in azione per reprimere l’attività creativa.
Xmp: Mi sembra che oggi sia imprescindibile, nella costruzione di universi finzionali, la previsione di una presenza sui social network più diffusi…che valore aggiunto possono dare, secondo te, al racconto di una storia?
Matteo Bittanti: Nessuno. E’ solo rumore di fondo. I social network sono dispersivi, disperati, dispettosi. Non aggiungono nulla, semmai sottraggono. The Circle di Dave Eggers descrive in modo accurato la situazione attuale. Vivendo, anzi, sopravvivendo nella Silicon Valley, condivido le ansie dello scrittore americano.
Xmp: Per te non esiste nessuna evoluzione nel modo di raccontare storie?… a prescindere da questo tamtam sul transmedia, emerge secondo te un nuovo ‘narrare espanso’?…che non si caratterizza necessariamente per la distribuzione su più media, ma magari per un approccio più partecipativo alla narrazione, penso agli esempi di Land of Opportunity e Sandy Storyline, in cui la narrazione partecipata è nata con l’intenzione di mettere in condivisione il dolore per le alluvioni e arrivare ad una ipotesi di ricostruzione condivisa… Oppure a film come El Cosmonauta dove l”espansione’ non è solo nella scrittura del film ma anche nel modo in cui è finanziato. Quindi una ‘narrazione espansa’ che è tale in quanto a livello creativo e/o produttivo e/o distributivo ‘esonda’ dai canali tradizionali…cosa ne pensi?
Matteo Bittanti: ll miglior esempio di “narrazione” espansa è il gioco surrealista del cadavre exquis, il cadavere squisito: spontaneo, aperto, partecipativo, con regole di funzionamento relativamente aperte, che si snoda al di fuori del “libero mercato”. Si tratta di una tecnica di narrativa e visiva basata sulla cooperazione e sulla coralità, che prevede la collaborazione di più artisti (o narratori): si comincia tracciando una linea, una figura, un disegno che deve essere ignorata dagli altri, poi il foglio gira tra i partecipanti, i quali uno a uno, a loro volta, disegnano una linea o una figura, e così via di seguito. I surrealisti la usavano anche in poesia, ovvero aggiungendo una parola, elementi di punteggiatura, ignorando lo scopo finale dei singoli.
Artisti come Aaron Koblin hanno sfruttato questo meccanismo per realizzare progetti online come Ten Thousand Cents, This Exquisite Forest, The Single Lane Super Highway, The Johnny Cash Project. Un altro esempio di narrazione espansa sono le “istruzioni” fornite dagli artisti concettuali che incoraggiavano forme di partecipazione libera. Penso agli esperimenti di Fluxus e a cose come Grapefruit di Yoko Ono. Il titolo stesso, “pompelmo” riflette la natura ibrida della narrazione e della creazione artistica, dato che il pompelmo è, secondo Ono, un incrocio tra un limone e un arancio. Istruzioni descrittive e non prescrittive: il testo originale (una storia in fieri, potenziale), viene attuato in mille modi diversi. Le istruzioni diventano quindi un vero e proprio generatore di storie. Un altro esempio di narrazione partecipativa sono le derive urbane dei situazionisti che miscelano la cartografia con la pratica peripatetica e i loro detournment a fumetti. In tutti i casi, ci troviamo di fronte a forme creative di narrazioni, multimediali, aperte. Senza bisogno di riempirsi la bocca di termini osceni come franchise, tie-in, spin-off, gamification, nativi digitali e gli altri slogan vuoti di WIRED. In ambito videoludico, le cose migliori sono state realizzate dai fans con The Sims e LittleBigPlanet, ma sotto il rigido controllo delle corporation del divertimento coatto. Come potrai immaginare, i vincoli imposti dal mercato limitano la creatività e l’ingegno, sopprimendo le voci fuori dal coro. Meglio allora esperimenti come The Endless Forest (2006) di Tales of Tale, una sorta di gioco online che sfrutta l’input degli utenti per evolvere. Il modo di raccontare cambia continuamente. Penso alle fotografie, alle storie e alle forme di citizen journalism degli abitanti di Ferguson, in Missouri, una “no fly zone” che cela abusi della polizia paragonabili a quelli degli Stati totalitari. Penso ai contributi degli abitanti giapponesi travolti dalla tsunami e dalla disinformazione del governo, ora archiviati dall’università di Harvard in un bellissimo progetto del MetaLab intitolato Waku, Japan Disaster Archive. Penso alla sourveillance tecnologica. Penso alle potenzialità narrative offerte dagli strumenti cartografici online. Il punto che mi preme sottolineare è che la narrazione è uno strumento emancipativo, non una forma di marketing avanzato. In quel caso, si parla di propaganda. Anzi, in quel caso, non parliamo proprio. Siamo costretti ad ascoltare.
Xmp: Raccontare per professione, oggi…pensi sia cambiato molto come mestiere? Quali competenze specifiche dovrebbero caratterizzare un professionista che intenda affermarsi come transmedia storyteller?
Matteo Bittanti: Non saprei. Quello che suggerisco ai miei studenti è di spegnere smartphone e leggersi un libro, senza distrazioni. A fianco, un notepad e una penna. Tutto il resto è aria fritta.
Xmp: Quale secondo te un libro di stimolo fondamentale per chi voglia narrare espanso, voglia costruire storie che si espandano nel panorama mediale e che il pubblico possa vivere attivamente?
Matteo Bittanti: New York Trilogy di Paul Auster.
Xmp: In Italia esistono sufficienti professionalità in questo ambito? o forse, ancor prima…nel mercato italiano c’è richiesta di professionisti del tipo che stiamo cercando di descrivere?
Matteo Bittanti: Mancando dall’Italia da una decade, non so risponderti.
Xmp: Hai casi di studio di Transmedia in Italy, di narrare espanso italiano da segnalare?
Matteo Bittanti: Potrei citare il caso di Metal Gear Solid: Philantropy, un progetto fandom creato da Hive Mind.
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