Il ‘sistema crossmediale internazionale’


…raccolgo la segnalazione del prezioso Giancarlo Manfredi di webtrekitalia, e pubblico qui un video dal sito treccani.it in cui Edoardo Fleischner – Docente di Scrittura crossmediale e di Comunicazione digitale, facoltà di Sociologia dell’università Statale di Milano – fornisce alcune nozioni di base su quello che definisce il ‘sistema crossmediale internazionale’. L’approccio è quindi macro, il riferimento è l’industria del settore mediale, che si muove ormai inevitabilmente lungo ‘filiere digitali di produzione’.

Fleischner sintetizza la crossmedialità come la capacità di mettere a sistema contenuti veicolati da media con età diverse…la televisione, che ne ha settanta, internet, che ne ha quaranta e Twitter, che ne ha sei.

Rispetto all’individuazione del protocollo Ip, come ponte tecnologico che permette questo dialogo e questa liquidità dei contenuti da un medium all’altro, allargherei però il respiro. Volendo rimanere nel contesto digitale, la matrice comune, ancora più a monte del protocollo IP, è il bit. Il bit, il linguaggio binario, è in se un medium universale, che ha reso infinitamente più agevole lo scambio e la diffusione multipiattaforma dei contenuti.

Ma  è opportuno ampliare ancor più la prospettiva, per due motivi:

1) molte migrazioni transmediali – dal lato consumer – avvengono offline, basti pensare ai contenuti diffusi su dischi Blue Ray o in Tv, come pure ai videogiochi per consolle, che pur essendo fortemente legati al contesto digitale, possono  essere fruiti indipendentemente dalla disponibilità di una connessione alla rete;

2) la presenza di media analogici è ancora assai significativa, si pensi al fumetto, ai libri, alla carta stampata. Anche se inseriti con sempre maggiore frequenza in più ampi progetti narrativi/informativi crossmediali, questi media rimangono legati ad una realtà ancora fortemente materica: la celluloide.

Quindi, se è vero che la traduzione in bit dei contenuti ha certamente agevolato in maniera decisiva la possibilità che ‘ogni contenuto parta da qualunque punto e possa arrivare a qualunque altro punto’, e anche vero che di questo contesto crossmediale sono parte integrante anche mezzi esterni al flusso digitale, mezzi che  Fleischner cita, seppur in un’ottica differente.

A presto

Cor.P

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Vi segnalo: Censis – 9° Rapporto sulla comunicazione


…vi segnalo il 9° rapporto sulla comunicazione presentato oggi dal Censis.

Di seguito brevi estratti dal comunicato stampa di presentazione:

«L’evoluzione dei consumi mediatici. L’utenza complessiva della televisione rimane stabile al 97,4% della popolazione italiana. Ma è avvenuto un ampio rimescolamento al suo interno. Gli spettatori della tv digitale terrestre sono aumentati di oltre 48 punti percentuali tra il 2009 e il 2011 arrivando al 76,4% della popolazione, ovviamente a scapito della tv analogica (-27,1%). La tv satellitare mantiene costante la sua quota di telespettatori (il 35,2% degli italiani). La web tv aumenta di ulteriori 2,6 punti percentuali nell’ultimo biennio, con un’utenza complessiva al 17,8%. Mentre la mobile tv rimane a livelli bassi, relegata a un pubblico saltuario e di nicchia (0,9%). Soprattutto i giovani (14-29 anni) diversificano ampiamente le possibilità attraverso le quali seguire le trasmissioni televisive. Il 95% utilizza la tv tradizionale (analogica o digitale terrestre), il 40,7% la web tv, il 39,6% la tv satellitare, il 2,8% l’iptv, l’1,7% la mobile tv. Anche l’ascolto della radio in generale rimane stabile, sempre a livelli molto alti di utenza (otto italiani su dieci). […]

Palinsesti multimediali personali e autogestiti. Oggi è sempre più l’utente a spostarsi all’interno dell’ampio e variegato sistema dei mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi, per scegliere il contenuto che più gli interessa secondo le modalità e i tempi che più gli sono consoni: ognuno si costruisce una nicchia di consumi mediatici e palinsesti «fatti su misura». Indipendentemente dall’uso del televisore, il 12,3% della popolazione attinge ai siti Internet delle emittenti tv per seguire i programmi prescelti, il 22,7% utilizza YouTube, il 17,5% segue programmi tv scaricati tramite il web da altre persone. Il dato relativo ai giovani che guardano i programmi su YouTube sale al 47,6% (il 20,1% lo fa abitualmente). Il 36,2% dei giovani, inoltre, segue programmi scaricati da altri (si tratta di ragazzi che si scambiano file tra di loro) e il 24,7% ricorre ai siti web delle emittenti tv. Nei programmi seguiti via Internet, musica (18,3%), sport (11,7%) e film (9,9%) sono ai vertici dell’interesse.

Volano gli smartphone, ma solo tra i giovani. […] c’è una migrazione dell’utenza dagli apparecchi basic (-8%), con funzioni limitate alle sole telefonate e all’invio e ricezione degli sms, agli smartphone (+3,3%, con un’utenza che sale complessivamente al 17,6% e al 39,5% tra i giovani). Va ricordato che questi dati non rilevano il possesso dell’apparecchio, bensì ne misurano l’utilizzo effettivo.

Social network: una popolarità inarrestabile. Il 67,8% degli italiani conosce almeno un social network, quota che sale al 91,8% tra i giovani (14-29 anni), ma si attesta comunque al 31,8% tra gli over 65 anni. Si tratta complessivamente di 33,5 milioni di persone, in crescita rispetto ai 32,9 milioni del 2009. Il più popolare è Facebook (noto al 65,3% della popolazione) insieme a YouTube (53%), seguono Messenger (41%), Skype (37,4%) e Twitter (21,3%). Ed è esploso il dato che riguarda i veri e propri utenti: i social network più utilizzati sono YouTube (dal 54,5% degli italiani che accedono a Internet, l’86,5% dei giovani) e Facebook (dal 49%, l’88,1% dei giovani).»

Quello descritto in queste brevi note del Censis è un panorama mediale liquido – del resto noto da tempo – parte di quello scenario economico, tecnologico e culturale che sta favorendo la diffusione di modalità narrative transmediali. La propensione alla costruzione di diete multimediali individuali – sempre più diffusa e sperimentata quotidianamente da ognuno di noi – rende abituali modalità di fruizione espansa in certo senso propedeutiche all’affermazione di franchise crossmediali. D’altro canto la possibilità, e la scelta, di muoversi da un medium all’altro, garantisce allo spettatore una libertà e varietà fruitiva che in parte stride con la volontà delle narrazioni crossmediali di indirizzare il proprio target lungo percorsi transmediali monomarca.

A presto

Cor.P

Scenario: l’intelligenza collettiva e la narrazione crossmediale (3)


…e la narrazione crossmediale?

Riprendo da dove eravamo rimasti, nel post precedente di questa serie… Quale il nesso diretto tra narrazione crossmediale ed intelligenza collettiva? Il legame è piuttosto ovvio, considerata la complessità che  caratterizza – e alla quale ho fatto assai spesso riferimento – i franchise transmediali.

L’intelligenza collettiva entra in gioco proprio per consentire ai fan di orientarsi in questi mondi finzionali, così articolati ed estesi da poter essere più facilmente percorsi, compresi e goduti, da uno spettatore che non s’avventuri in solitaria alla loro esplorazione transmediale.

Del resto –  indipendentemente dalla circostanza che ci si trovi di fronte ad un prodotto transmediale – il condividere idee, opinioni, informazioni sui propri personaggi preferiti è da sempre uno dei maggiori piaceri nella fruizione di prodotti di intrattenimento, unito alla voglia di saperne il più possibile che caratterizza i fan più accaniti, che tendono ad un appetito onnivoro nei confronti dell’oggetto della loro passione.

Ma questo desiderio di onniscienza, già difficilmente perseguibile di fronte ad un prodotto monomediale, diventa di ancor più ardua realizzazione nei confronti di un franchise che si sviluppi lungo molteplici piattaforme distributive.

Per questo motivo quando si fruisce di un franchise transmediale, oltre che un piacere, la condivisione diventa un’opportunità cognitiva…così, ad esempio, per imparare il Klingon o il Na’vi confrontarsi con altri fan è certamente d’aiuto; per scoprire il significato della equazione di Fibonacci, la ricorrente e misteriosa sequenza numerica di Lost, bisognava partecipare all’Arg (Alternate Reality Games) Lost Experience, prendendo parte ad una sorta di caccia al ‘tesoro informativo’ alla quale era meno divertente, e meno fruttuoso, partecipare da soli…oppure, non avendo partecipato a Lost Experience, era possibile (ovviamente in un periodo successivo alla conclusione dell’Arg) recuperare l’informazione su qualche wiki costruito in rete dai fan della serie, anche in questo caso mettendo a frutto le potenzialità dell’intelligenza collettiva.

In altri termini il dialogo, il confronto tra fan, intorno ai propri personaggi preferiti non nasce più, solo, dalla voglia di condividire una passione, ma anche dal bisogno di comprendere meglio alcuni aspetti, alcuni dettagli narrativi rimasti criptici, attingendo al sapere di altri appassionati, che magari hanno esplorato per più ampi spazi transmediali il franchise di riferimento. L’intelligenza collettiva diventa così funzionale alla costruzione di bussole condivise, utili ad orientarsi negli universi finzionali transmediali.

Esemplare in questo senso il progetto Star Trek Chronology (STC), messo in piedi da alcuni Trekkies per un più agevole orientamento nel tempo narrativo dell’universo trekkiano, distribuito in uno spazio transmediale composto essenzialmente dalle serie per il piccolo schermo e dai lungometraggi cinematografici. In altri termini, l’obiettivo  di STC è stato quello di riordinare cronologicamente gli eventi dell’universo trekkiano,  prendendo come unico riferimento quello del tempo diegetico in cui si sono svolti, indipendentemente dal medium e dalla loro data di messa in onda. Così, utilizzando la lista presente sul sito  STC, ogni appassionato di Star Trek può decidere di immergersi nella saga seguendo gli episodi televisivi e i film in ordine cronologico, fruendoli come fossero segmenti di una narrazione lineare.

Ancora su Star Trek, un esempio più light, ma egualmente indicativo di una tensione al costruire insieme strumenti di orientamento all’interno di universi finzionali transmediali, è l’infografica segnalatami da Giancarlo Manfredi (che ringrazio ancora), che sintetizza alcune chicche informative sull’universo di Gene Roddenberry sparse su vari siti web, compattandole in un nuovo layout accattivante ed efficace.

Più in generale, un tipico risultato di questo circuito virtuoso tra fruizione di narrazioni transmediali e dinamiche dell’intelligenza collettiva sono le wiki create dalle fan community di serie televisive, franchise cinematografici o videogiochi, vere e proprie enciclopedie open source costruite intorno ai titoli di maggiore successo dell’industria dell’entertainment…gli esempi possibili sono molti, ed alcuni li ho già riportati in post precedenti, ma di seguito elenco comunque alcune di queste community:

www.webtrekitalia.com     (Star Trek)

www.snpp.com   (I Simpson)

www.buffymaniac.it    (Buffy)

avatarthemovieforum.com    (Avatar)

harrypotterfans.forumfree.it   (Harry Potter)

www.twifans.com   (Twilight)

it.lostpedia.wikia.com  (Lost)

glee.subsfactory.it   (Glee)

Ovviamente quanto detto sin qui va interpretato come dato tendenziale…mi preme specificare, per quanto possa essere ovvio, che l’esplorazione in solitaria rimane una pratica mediale ancora largamente diffusa…ma la dimensione sociale e socializzante (della quale l’intelligenza collettiva è solo una delle possibili declinazioni) di questo tipo di consumi culturali fondati sulla fruizione espansa, è sempre più evidente, ed è del resto ben nota a chi produce questi franchise, che vede evidentemente con favore l’idea che vi si creino intorno comunità d’interesse, se non di culto.

Sempre più spesso, quindi, al di là dello spontaneismo degli appassionati più fedeli ed intraprendenti, sono le stesse case produttrici che creano occasioni di socializzazione virtuale intorno ai propri titoli di punta. Uno degli esempi più celebri, ormai già datato (2007), è quello della puntata di CSI conclusasi nel mondo virtuale di SecondLife, dove venivano chiamati a raccolta i fan della serie che avessero voluto collaborare alla risoluzione del caso.

In altri casi queste forum community, oltre a diffondere la cultura del franchise cui sono dedicate, ne espandono i confini, seppur in maniera apocrifa, con le fanfiction. E questo diventa spesso un ottimo serbatoio di idee a cui gli autori attingono più di uno stimolo, più di una idea, per ulteriori sviluppi ufficiali, anche grazie al livello sempre più elevato raggiunto da questi prodotti amatoriali (del resto è sempre meno paradossale riscontrare un livello professionale in produzioni amatoriali)…celebre caso italiano è quello di Dark Resurrection, il fanmovie che Angelo Licata ha dedicato alla saga di Guerre Stellari.

Quindi – volendo tirare delle prime, parziali, conclusioni – l’intelligenza collettiva entra in gioco nella fruizione di narrazioni transmediali:

– dal lato dei fan: come strumento di condivisione ed accumulazione di conoscenza sul franchise, la cui complessità è difficilmente gestibile in solitaria;

– dal lato dei fan: come strumento creativo open-source, che consente di realizzare ulteriori espansioni crossmediali, apocrife, del franchise di riferimento;

– dal lato dei titolari del franchise: come strumento utile alla creazione di eventi di socializzazione virtuale intorno al franchise, che stimolino la costruzione di una comunità e di un culto intorno allo stesso.

A presto.

Cor.P

Scenario: l’intelligenza collettiva e la narrazione crossmediale (2)


…riprendo il discorso sull’intelligenza collettiva – così come descritta nel testo fondativo di Pierre Levy – iniziato nel post precedente.

Come visto, per il filosofo francesce il passaggio cognitivo fondamentale va individuato nell’evoluzione dal cogito cartesiano ad un cogitamus in cui le intelligenze individuali non si fondono in un ammasso indistinto ma, grazie al contatto reciproco, sviluppano ulteriori potenzialità in un processo di crescita, differenziazione e di «mutuo rilancio delle specificità».
Cade quindi il rilievo della firma, l’autorialità si fa diffusa, e il luogo principe del sapere organizzato secondo i canoni tradizionali – l’enciclopedia – viene  sostituito dalla cosmopedia, immaginata da Levy come spazio del sapere prodotto dal lavoro dell’intelligenza collettiva.

L’enciclopedia è uno spazio monodimensionale, un cerchio chiuso, consultabile ma non modificabile, se non, a riprese successive, dagli stessi autori originari. Per dirla in gergo informatico, l’accesso al pubblico è consentito in sola lettura, ed il ruolo di chi realizza l’enciclopedia rimane ben distinto da quello di chi la utilizza.

Nella cosmopedia il faccia a faccia con un’immagine fissa ed un testo predefinito è invece sostituito da un elevatissimo numero di forme di espressione/interazione:

«immagine fissa, immagine animata, suono, simulazioni interattive, mappe interattive, sistemi esperti, ideografie dinamiche, realtà virtuali, vite artificiali ecc. Al limite la cosmopedia contiene tante semiotiche e tanti tipi di rappresentazione quanti se ne possono trovare nel mondo stesso. […] Come il mondo la cosmopedia non si esplora solo discorsivamente ma anche attraverso modalità sensibili […]. Il sapere cosmopedico ci avvicina al mondo vissuto, piuttosto che allontanarcene.[1]»

In uno spazio del sapere di questo tipo – di cui oggi colpisce l’innegabile vicinanza a quel mondo di internet che negli anni in cui Levy portava a termine il suo testo fondamentale era ancora agli albori, almeno nel suo uso per scopi civili – a seconda delle zone di utilizzo e dei percorsi di esplorazione, le gerarchie tra lettori ed autori mutano continuamente. Così il soggetto che consulta una voce relativa alla chimica, potrà a sua volta inserire nuovi enunciati relativi, ad esempio,  alla storia dell’arte o a qualsiasi altro ambito in cui abbia maggiori competenze specialistiche. Quindi, in estrema ed efficace sintesi, a differenza di quanto avviene nell’enciclopedia,

«nella cosmopedia ogni lettura è una scrittura»[2].

In uno scenario in cui l’accento non è più sulle differenze tra i diversi medium, ma piuttosto sulle loro possibilità di dialogo, e sull’intescambiabilità e adattabilità dei contenuti, così come su quella dei ruoli di autore e di spettatore, si registra una tendenza del tutto analoga nella progressiva liquefazione dei confini tra le diverse aree del sapere. Si pensi ad esempio al dialogo sempre più fitto tra esponenti di discipline medico-scientifiche e quelli di discipline religioso-filosofiche, imposto dalle questioni etico-scientifiche sollevate dallo sviluppo dell’ingegneria genetica.

Oppure, venendo all’industria dell’intrattenimento, si consideri l’utilizzo di prodotti videoludici come strumenti di studio, come accaduto per la serie di videogiochi di simulazione di vita The Simsdistribuita dalla EA Games ed ideata da Will Wright – divenuta oggetto e strumento di studio in prestigiose aule accademiche. 

Il gioco è basato sul controllo dei Sim, esseri umani virtuali, singoli e in famiglia, le cui attività quotidiane devono essere guidate in modo da mantenerli in buona salute, di farli progredire nelle loro attività professionali, di assicurare loro un’adeguata vita sociale. Alcune famiglie sono già preinstallate nel gioco, e i loro personaggi sono diventati popolari. Un’altra caratteristica che gode di grande popolarità è la lingua immaginaria parlata dai Sims, il Simlish, nella quale alcuni artisti hanno addirittura creato versioni delle loro canzoni, come i Depeche Mode con Suffer Well per The Sims 2.

The Sims, soprattutto, è stato il primo simulatore di vita videoludico e ha introdotto una particolarità copiata poi da altri giochi simili: le 8 barre che indicano i bisogni dei personaggi (fame, igiene, energia, relazioni, comfort, vescica, divertimento, ambiente). La felicità (un’altra barra che viene sintetizzata anche dal prisma sopra la testa del Sim) è stabilita dal valore medio di queste barre. La massima felicità si ha quando la barra è completamente verde; man mano si scende a verde chiaro, giallo, arancione e rosso. Se la felicità scende a livelli negativi (rosso) il Sim non sarà sereno e non svolgerà determinate azioni impegnative, per esempio studiare, dipingere, suonare uno strumento o giocare a scacchi (che sono le azioni che permettono di aumentare il livello delle abilità), e non avrà neanche voglia di cercarsi un lavoro. The Sims, essendo un simulatore di vita reale, prevede inoltre la nascita, la crescita e la morte dei Sim.

E’ proprio questa credibilità nel simulare la vita reale che ha reso The Sims oggetto di molteplici e dotte analisi accademiche, ma anche strumento di studio, ad esempio nelle aule del corso di laurea triennale in Economia e Gestione dei Servizi presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma, dove si è rivelato un supporto formativo utile per verificare che tutte le nozioni necessarie a pianificare e realizzare un’iniziativa imprenditoriale fossero state recepite dagli studenti del corso.

Un ulteriore esempio – più vicino alla mia esperienza professionale – degli innumerevoli settori in cui la commistione disciplinare sta facendo sentire significativamente la sua influenza  è quello della diffusione delle statistiche ufficiali – cioè di quelle statistiche prodotte dagli Istituti Nazionali di Statistica (l’Istat in Italia) o da organismi sovranazionali, quali l’Eurostat – attraverso l’uso sempre più frequente delle tecniche dello Statistics Storytelling, un approccio alla presentazione dei dati statistici più mediatico e meno accademico-scientifico, nel tentativo di raccontare la statistica, inserendo i dati in un contesto, per quanto possibile, narrativo, allo scopo di  ottenere una fusione più accattivante tra il freddo mondo dei numeri e quello più caldo delle parole. Il ricercatore che opera in un Istituto Nazionale di Statistica, affascinato dal dato e dalla metodologia più evoluta e raffinata utilizzabile per stimarlo,  non può più evitare di acquisire i rudimenti necessari per diffondere in maniera adeguata la statistica ufficiale in questione, perché una statistica che non trova il suo pubblico è una statistica che non esiste.


Raccontare una storia statistica significa quindi inserire il dato statistico in un flusso testuale che ne incrementi la significatività e ne agevoli la comprensione, nella convinzione che gli utenti ricordino più facilmente le storie di numeri, che i numeri in se stessi.

L’adozione di queste tecniche richiede agli statistici lo sforzo di ibridare la propria professionalità e la disponibilità  a collaborare con chi lavora nell’ambito della comunicazione istituzionale, per attrarre l’attenzione del lettore con un titolo o un’immagine adeguata, dare vita e colore al numero con una storia appena tratteggiata eppure coinvolgente, incoraggiare i giornalisti ad utilizzare il dato statistico come uno strumento per aumentare l’impatto di ogni notizia s’accingano a fornire al pubblico.

Le storie statistiche e i dati che veicolano devono quindi informare e stimolare la discussione, ma mai essere, esse stesse, discutibili: non deve esistere contraddizione tra l’accuratezza del dato statistico e la capacità di attirare l’attenzione sullo stesso.

Una delle tecniche più semplici dello Statistics Storytelling è quella di legare il dato statistico alla vita quotidiana dei cittadini. Quindi, ad esempio, in un comunicato stampa in cui si presentano dati sull’incremento del costo del petrolio non titolare  «Il prezzo dei prodotti petroliferi salirà nel prossimo semestre» ma preferire «I consumatori spenderanno di più per il riscaldamento domestico nel prossimo inverno». Questo renderà l’informazione statistica più appetibile sia per i giornalisti, che avranno già a disposizione un’indicazione su come suscitare l’interesse dei lettori, che sull’utente finale, coinvolto già a partire dal primo termine del titolo.

The Sims e lo Statistics Storytelling sono solo due dei moltissimi esempi che dimostrano come i confini tra discipline, come quelli tra strumenti di apprendimento e strumenti di intrattenimento, si facciano sempre più sfumati…

«Contrariamente a quanto credono, i tecnici hanno molto da imparare dagli umanisti. Simmetricamente [questi ultimi] devono fare lo sforzo di impadronirsi di nuovi strumenti  […]. In mancanza di un simile incontro otterremmo, in fin dei conti, solo una tecnica vuota e una cultura  morta.[3]»

Umanisti e scienziati non possono più prescindere dal reciproco arricchimento. Non più quindi due distinte torri d’avorio, ma due pilastri che sostengono un ponte che vede un progressivo ed inarrestabile incremento degli attraversamenti.

E secondo Levy questo incontro e reciproco arricchimento dei saperi trova luogo ideale di realizzazione proprio nella cosmopedia,

«che dissolve le differenze tra le discipline, in quanto territori su cui si esercitano dei poteri, per lasciar sussistere solo alcune zone dalle frontiere fluide […]. A una organizzazione rigida dei saperi in discipline discrete e gerarchizzate […] si sostituisce dunque una topologia  continua e dinamica».[4]

…per ora mi fermo, ma non ho ancora finito…ho detto ancora troppo poco sulla seconda parte del titolo di questa serie di post…’Scenario: l’intelligenza collettiva e la narrazione crossmediale‘…appunto… ‘e la narrazione crossmediale’?

…ancora un po’ di pazienza…

A presto

Cor.P


[1] P.Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, 1996, pag.210.

[2] P.Levy, op.cit., pag.211.

[3] P.Levy, op.cit., pag.133.

[4] P.Levy, op.cit., pag.211.

Scenario: l’intelligenza collettiva e la narrazione crossmediale (1)


L’elencazione dei principali caratteri ricorrenti della narrazione crossmediale, conclusa con il post precedente, conferma quanto gli universi finzionali che si sviluppano lungo coordinate transmediali si caratterizzino per una complessità che non sempre rende agevole l’orientamento dello spettatore che intenda esplorarli fruendone in maniera non monomediale. Semplificando al massimo, il fan di questi franchise si trova di fronte a panorami narrativi così articolati, in ampiezza e profondità, da poter esser più agevolmente esplorati insieme ad altri appassionati, con i quali poter condividere (o potersi confrontare su) una parte del cammino fruitivo nel franchise. Tutto questo, nella pratica, può semplicemente tradursi nella ricerca nei forum online del trucco per completare il videogioco Enter the Matrix, o nel rintracciare in uno dei tanti fansite dedicati alla serie di Matt Groening il codice di quella puntata  dei Simpson la cui sigla iniziale sembra prendere il via da dove è terminato il lungometraggio cinematografico, o infine nello scambio di suggerimenti e dritte per apprendere più rapidamente i rudimenti delle lingue artificiali Na’vi o Klingon.
In altri termini le dinamiche di culto che spesso si innestano attorno a queste saghe, unite alla intrinseca complessità delle stesse (alimentata da quel worldbuilding storytelling su cui ritorno spesso e volentieri), portano alla creazione di comunità di fan, il cui fine principale è l’approfondimento della conoscenza e la diffusione della passione intorno ad alcuni tra i principali franchise transmediali: Avatar, Matrix, I Simpson, Buffy, Lost, 24, Twin Peaks, Star Wars…La nascita, lo sviluppo – direi la proliferazione – di queste comunità sono state innegabilmente agevolate dalla disponibilità del web, ma è comunque opportuno ricordare che il fenomeno delle fancommunity è nettamente precedente all’avvento di Internet, più ovvio e doveroso esempio ne sia la comunità dei fan di Star Trek.
E’ quindi evidente che a favorire l’affermazione della nXm è stato anche questo contesto sociale e tecnologico in cui le dinamiche dell’intelligenza collettiva, teorizzate e descritte da Pierre Levy nella prima metà degli anni novanta, hanno trovato piena realizzazione operativa, rivelandosi utili, nel settore dell’entertainment, a che il pubblico potesse orientarsi, supportandosi reciprocamente, all’interno di questi complessi e stratificati universi finzionali.

Di intelligenza collettiva si sente spesso parlare, quasi fosse una sorta di etichetta o slogan evergreen…proprio per questo penso valga la pena risalire alle origini di questo concetto e ritornare su alcuni passaggi fondamentali del testo fondativo di Pierre Levy, che pubblica Intelligenza collettiva. Per un’antropologia del Cyberspazio nel 1994, descrivendo un futuro prossimo (il nostro presente), in cui il sapere viene alimentato e condiviso grazie alla velocità, accessibilità e globalità delle reti informatiche.

Levy teorizza un rinnovamento del legame sociale, fondato sulla condivisione del sapere e definisce l’intelligenza collettiva come

« […] un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta ad una mobilitazione effettiva delle competenze.»

Quindi un’intelligenza che, in quanto distribuita ovunque, è diffusa e condivisa dal genere umano. Del resto, secondo l’antropologo, il sapere della comunità umana non è più un sapere comune, perché non esiste un individuo, o anche un gruppo, che possegga tutte le conoscenze. È, piuttosto, un sapere collettivo:

«il sapere non è niente di diverso da quello che sa la gente.»

Inoltre, nel suo essere coordinata in tempo reale, l’intelligenza collettiva implica, oltre un certa soglia quantitativa,“dispositivi di comunicazione che dipendono obbligatoriamente dalle tecnologie digitali dell’informazione”.
È quindi principalmente grazie allo sviluppo delle tecnologie digitali che è possibile articolare ed organizzare i saperi individuali in una ben più fruttuosa e strutturata intelligenza collettiva. Una semplificazione sintetica ed efficace di quanto detto sin qui, la fornisce lo stesso Levy, nel corso di un’intervista del 1995:

«oggi se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l’intelligenza collettiva .»

L’esempio a cui più comunemente ci si riferisce quando si deve dimostrare quali frutti può portare questo tipo di intelligenza, è quello di Wikipedia, enciclopedia web le cui voci sono alimentate dal lavoro volontario di esperti, che mettono a disposizione il loro tempo e le loro competenze, per costruire questa summa del sapere ai tempi della rete, la cui qualità viene (o dovrebbe essere) garantita dalla possibilità, per chiunque vi acceda, di verificare l’affidabilità delle voci e, se necessario, correggerle e/o ampliarle.
Altro esempio molto noto è quello di Linux, sistema operativo open source sviluppato grazie al lavoro volontario di programmatori sparsi per tutto il globo, organizzatisi attraverso la rete web in veri e propri gruppi di lavoro virtuali. Molta parte delle sue ottime prestazioni e del suo conseguente successo, deriva proprio dal contributo fornito da sviluppatori volontari che, sfruttando gli strumenti del social networking, hanno messo in comune gli sforzi per sviluppare le funzionalità del sistema operativo, in una fattiva e fruttuosa realizzazione delle potenzialità dell’intelligenza collettiva.
Così un Linux User Group (LUG) è, appunto, un gruppo formato da sviluppatori/utilizzatori che condividono la stessa passione per il software open source e in particolare per Linux, e utilizzano il web per scambiarsi consigli, competenze ed esperienze. I Lug italiani ogni anno promuovono ed organizzano il Linux Day, una manifestazione che ha lo scopo di promuovere il sistema operativo Linux e il software libero, avvicinare e aiutare nuovi utenti, attraverso un insieme di eventi contemporanei organizzati in diverse città d’Italia.
La prima edizione del Linux Day si è tenuta il 1º dicembre 2001 in circa quaranta città sparse su tutto il territorio nazionale. Il successo via via crescente, ha reso il Linux Day la principale manifestazione italiana no profit dedicata a Linux e al software libero. L’ultima edizione si è svolta il 23 ottobre 2010, con manifestazioni locali in 135 città (www.linuxday.it).
Arduino rappresenta invece la via italiana all’hardware opensource: è un microprocessore in vendita online a prezzo molto basso (circa 40 dollari) , che il suo ideatore Massimo Banzi offre a chi lo voglia utilizzare, modificare, e vendere a sua volta, pubblicando in rete gli schemi elettronici e le altre specifiche di prodotto. In sostanza gli acquirenti del microprocessore, anche in questo caso organizzatisi in comunità virtuali, svolgono anche attività di ricerca e sviluppo per Arduino, potendolo modificare ed upgradare a loro piacimento, con l’unico obbligo che anche queste evoluzioni derivate debbano riportare, se pubblicate in rete, il marchio Arduino, e adottare la stessa licenza Creative Commons (o altre simili) utilizzata per i software opensource.

I casi di Wikipedia, Linux e Arduino evidenziano come questo tipo di approccio comporti una democratizzazione della conoscenza, che proprio in quanto diffusa e mutevole, esce dalle classiche strutture gerarchiche, tipiche di una più tradizionale organizzazione accademica del sapere, cosicché l’intellettuale smette di esistere nei termini di essere isolato nella torre d’avorio.
In questo contesto le competenze e la capacità di condividerle diventano più rilevanti del nome di chi ne è portatore. La figura classica dell’intellettuale viene sostituita da quella dell’intellettuale collettivo che genera un mondo virtuale che esprime le relazioni che sono al suo interno, i problemi che lo mettono in movimento, le immagini che si forma del proprio ambiente, la sua memoria, il suo sapere in generale. I membri dell’intellettuale collettivo producono insieme, riorganizzano e modificano continuamente il mondo virtuale di cui la loro comunità è espressione: l’intellettuale collettivo non cessa di imparare e di inventare.

Secondo Levy il passaggio fondamentale va individuato nell’evoluzione dal cogito cartesiano ad un cogitamus in cui le intelligenze individuali non si fondono in un ammasso indistinto, ma sviluppano ulteriori potenzialità grazie al contatto reciproco, in un processo di crescita, differenziazione e di «mutuo rilancio delle specificità» .
In questo contesto l’individuo ha tante “identità” nello Spazio del sapere, quanti sono gli intellettuali collettivi a cui partecipa e che contribuisce a creare.
Cade quindi il rilievo della firma, e l’autorialità si fa diffusa, mentre si fanno incerti i confini tra docenti e discenti, come quelli fra autori e lettori, registi, attori e spettatori…perchè al di là delle ovvie ricadute in ambito più tradizionalmente scientifico/tecnologico, l’intelligenza collettiva da prova di se anche in ambiti più direttamente legati al mondo dell’entertainment, come ho accennato all’inizio di questo post  e come descriverò più approfonditamente nei post successivi…

Buona Pasqua a tutti!

A presto

Cor.P

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