Soaps in Transmedia (4)


Eccoci alla quarta ed ultima parte del pezzo di Giada Da Ros,  Soaps in Transmedia, che ringrazio ancora per questo interessante approfondimento su un genere televisivo che raramente viene associato alle nuove modalità di narrazione distribuita…

Per chi se le fosse perse, qui ci sono la prima, la seconda e la terza parte.
Buona lettura

Cor.P

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Aggrappati alla rete: Con i primi anni del terzo millennio, l’utilizzo del web si fa sempre più presente anche nel mondo delle soap.
Passions
è la prima soap disponibile su iTunes (nel 2006). Alla serie viene associato Tabloid Truth, un tabloid online  in cui vengono rivelati i segreti dei residenti della cittadina di Harmony dove è ambientata la soap, con piccoli extra narrativi, indizi, giochi e interviste. Sulla stessa linea Springfieldburns.com (2006), legato a Guiding Light e Restlessstyle.com (2008) un sito che accompagnava la rivista di moda presente nelle puntate di The  Young and the Restless.
Più in generale – come ricorda Elana Levine nel suo ‘What the hell does TIIC mean?’ Online content and the Struggle to Save the Soaps, saggio contenuto nel libro The Survival of Soap Opera  – SoapCity.com, sito ufficiale per The  Young and the Restless, Days of our lives, As the World Turns e Guiding Light è stato uno dei primi esempi di trasmedia storytelling in questo ambito. Vi venivano ad esempio pubblicate le email di Abigail di As the World Turns, che offrivano ai fan un nuovo modo di accedere alla relazione del personaggio con il suo fidanzato, sua madre e altri.
A questo disvelamento ulteriore del vissuto personale dei protagonisti delle soap è associato il diffondersi, in quegli stessi anni, di numerosi blog loro legati: Jessica Buchanan e la sua doppia personalità, Tess di One Life to Live scrivono su Split Reflections; Kendall Hart diventa autrice di Hart to Heart; Luke Snyder di As the World Turns debutta con il Luke Snyder’s blog; Mindy Lewis di Guiding Light scrive online il suo diario; anche Lulu Spencer di General Hospital tra agosto e novembre 2006 sfoga su un blog i suoi dubbi ed il suo dolore per la gravidanza non voluta ed il successivo aborto. Ma uno dei blog più interessanti è quello di Robin Scorpio, lanciato dalla ABC Daytime nel 2005. Di Robin, tra i personaggi principali di General Hospital, era già stato pubblicato un diario cartaceo, di cui ho già parlato. Se in quelle pagine Robin era adolescente, nel blog è una donna adulta che lavora presso l’ospedale e ha una storia d’amore con il collega Patrick Drake. Elana Levine, nel suo saggio sopracitato, analizza approfonditamente questo blog, ritenendolo esemplificativo del difficile rapporto delle soap opera con esperimenti di transmedia storytelling.
Nelle intenzioni degli autori per i fan di General Hospital il blog di Robin dovrebbe essere un’aggiunta alle vicende degli episodi televisivi. La giovane dottoressa riflette su quello che le accade quotidianamente e riempie gli spazi dei periodi in cui non la si vede sullo schermo. A scrivere queste sue riflessioni sono in realtà alcuni assistenti alla sceneggiatura. La reazione dei fan è stata molto negativa: hanno percepito il diario online non come un contenuto in più, ma come qualcosa di loro negato sul piccolo schermo. Questa reazione va inquadrata nella particolare evoluzione di General Hospital e di un personaggio storico come Robin, una veterana, legata narrativamente all’ospedale, che sullo schermo viene messa in secondo piano. Se infatti alle origini della serie le vicende erano centrate sull’ambiente ospedaliero – il titolo della soap è dopotutto General Hospital – da vent’anni a questa parte il focus si è spostato sulla malavita. Il mafioso Sonny Corinthos e il suo enforcer Jason Morgan, sono il fulcro del programma, con forte disappunto dei fan storici che disprezzano in se stessa la scelta di dare tale rilievo diegetico a imprese criminali, ed ancor più il fatto che questa scelta sia avvenuta a discapito di personaggi di lungo corso come Robin, per la quale i fan hanno percepito il blog come una volontà degli autori di relegarla su un palco secondario.

Lo scontro tra i fan e gli autori diventa ancor più acceso quando Robin apre un vlog – un video blog – più direttamente legato alle vicende degli episodi televisivi.

Rimasta incinta e single, Robin decide di aprire il vlog alla ricerca di un dialogo e di un supporto da parte di altre mamme o future tali. Ma mentre nel blog ha fatto riferimento al vlog diegetico, in quest’ultimo non citava il primo, quasi esistessero in due mondi narrativi paralleli, cosa che è risultata poco convincente per gli appassionati. In secondo luogo, le vicende del vlog sono sembrate una sorta di reazione della produzione ai commenti critici che il pubblico postava sul blog. La percezione in questo senso è stata molto intensa quando in uno dei video Robin inizia leggendo commenti cattivi dallo schermo del computer, brontolando, ‘Che cosa cazzo significa TIIC?’. TIIC, sta per The Idiots in Charge/Gli Idioti in Carica, ed è un acronimo comunemente usato nei fanforum per criticare le scelte dell’industria televisiva, gli sceneggiatori, i produttori e i dirigenti del network, quando si ritiene abbiano tradito o sprecato il vero potenziale della serie, e quindi, in questo caso, di General Hospital.
I fan online hanno dibattuto sull’intenzione del riferimento, concordando sul fatto che, in un vlog dedicato alla gravidanza, non ci sarebbe stata ragione di usare l’acronimo ‘TIIC’ se non per riferirsi in maniera polemica al dibattito tra i fan della soap, molti dei quali si sono sentiti insultati da un atteggiamento di questo tipo, mentre altri lo hanno percepito come un piccolo segnale di ascolto nei confronti della loro indignazione. In ogni caso il risultato finale di questo tentativo di espansione transmediale è stato l’istaurarsi di una dinamica tra pubblico e produzione decisamente contro producente per le sorti del programma.
Un’altra tecnica frequentemente utilizzata per espandere lo storytelling delle soap è la cross-impollinazione (o crossover) tra più serie. Ogni daytime drama ha (o dovrebbe avere) una sua precisa identità, che lo distingue dagli altri; allo stesso tempo sono molti gli attori che hanno interpretato lo stesso personaggio in più soap  – ad esempio Jeremy Hunter, di All My Children e Loving; Angie e Frankie Hubbard di All My Children e The City; Marco Dane, di One Life to Live e General Hospital; Sheila Carter e Lauren Fenmore, di The  Young and the Restless e The Bold and the Beautiful; Rae Commings, in All My Children, One Life to Live, General Hospital e Port Charles, solo per citarne alcuni –  quasi esistesse una soaplandia, esplorabile anche lungo percorsi transmediali. In questo senso l’idea probabilmente più ambiziosa è stata quella di L.A. Diaries, un drama online in 9 puntate,  in cui sullo sfondo di un’assolata California si incontrano due personaggi appartenenti a due show diversi, Amber (Adrienne Frantz) di The  Young and the Restless  (e in precedenza di The Bold and the Beautiful, di per sé) e Alison (Marnie Schulenberg) di As the World Turns, che fanno amicizia e decidono di condividere un appartamento.

Un secondo tentativo è stata la campagna della ABC Daytime “What if”, “Che cosa succederebbe se”… se personaggi di soap diverse si incontrassero? Che cosa farebbero e che cosa si direbbero? Su Soapnet.com ed ABC.com sono andati in onda dieci webisode con la regia di Frank Valentini (produttore esecutivo di One Life to Live) che prendevano in considerazione diversi scenari. A un fan basta pensare ad un incontro fra Sonny Corinthos di General Hospital e Erica Kane di All My Children, o Ryan Lavery di All My Children e Carly Jacks di General Hospital (e molti altri il cui elenco trovate qui) per immaginarsi illimitati e succosi sviluppi narrativi. In effetti la reazione a questi prodotti è stata generalmente positiva, anche grazie alla cura dei dettagli che ne ha caratterizzato la realizzazione. La descrizione di una scena (scritta da Sara Saebi) aiuta a rendere l’idea: John McBain (Michael Easton) di One Life to Live e Sam McCall (Kelly Monaco) di General Hospital sono ammanettati l’uno all’altra, ed entrano in un ascensore. Sulla parete c’è un manifesto pubblicitario di quello che sembra un duo canoro, Caleb e Livvie. Gli appassionati riconosceranno nei nomi quelli dei due personaggi interpretati rispettivamente da Easton e Monaco quando recitavano insieme nella soap Port Charles (uno spin-off di General Hospital), dove erano amanti. Non solo, il riferimento ha anche senso perché Caleb in Port Charles era un vampiro con un gruppo musicale suo. Il citazionismo autorefenziale è ribadito quando John dice a Sam che lei gli sembra familiare, e Sam gli risponde che forse si conoscevano in una vita precedente. Dettagli che fanno spesso la gioia dei fan più accaniti.

Alla ricerca di un porto Franco: Affascinante ed assolutamente sui generis, oltreché ottima occasione di riflessione su che cosa costituisca il transmedia storytelling, e se si possa azzardare l’idea di una meta-transmedia storytelling è, dal 2009, la reiterata presenza di James Franco in General Hospital. La star hollywoodiana ha chiesto di potervi recitare intendendo il suo ruolo come una forma di performance art, come ha spiegato lui stesso in un articolo sul Wall Street Journal, A Star, a Soap and the Meaning of Art: “Finalmente mi sono tuffato e ho messo alla prova me stesso con la forma [espressiva della performance art], quando ho firmato per apparire in 20 episodi di General Hospital nel ruolo dell’artista bad-boy Franco. Ho violato la sospensione dell’incredulità del pubblico, perché non importa quanto a fondo io sia entrato nel personaggio, sarei stato comunque percepito come qualcosa che non appartiene al mondo incredibilmente stilizzato delle soap opera. Chiunque guardi vedrebbe un attore che riconosce, una persona reale in un mondo finto. Nella performance art, il risultato è incerto – e questa non fa eccezione. La mia speranza è che le persone si chiedano se le soap opera siano veramente così distanti dall’intrattenimento che è considerato legittimo dalla critica. Che lo facciano davvero è al di là del mio controllo”.

James Franco interpreta perciò Franco, un artista che è affascinato da Jason Morgan, un mafioso. Franco considera arte le imprese di Jason. Nella vita reale, in corrispondenza con le vicende della soap, James Franco realizza una performance al Pacific Design Center di Los Angeles, intitolandola Soap at MOCA, MOCA perché a presentarlo era il Museum of Contemporary Art e Soap perché la performance veniva filmata live come puntata di General Hospital.

Con l’aiuto di Jeffrey Deitch – il direttore del MOCA, che fa un cameo in un episodio – Franco organizza uno show chiamato Francophrenia in una ampia piazza esterna del Pacific Design Center ricreandovi, fra le altre cose, le scene delle sue precedenti installazioni d’arte: la sua galleria a Port Charles (la città finzionale dove è ambientato General Hospital); il suo studio, dove una volta ha imprigionato una donna in una scatola da esposizione e ha minacciato di ucciderla in nome dell’arte (Francophrenia su The New Yorker).

In un intricato gioco di rimandi meta testuali, le linee narrative della performance art e della soap si fondono fra loro diventando, al contempo, l’una estensione transmediale dell’altra.

Conclusioni: Se le soap opera americane del daytime non sono morte, sono sicuramente agonizzanti. Nel 2012 ce ne saranno in onda solamente quattro. The Young and the Restless/Febbre d’amore è la più vista d’America, e sempre sulla CBS, The Bold and the Beautiful/Beautiful può contare sulla forza trainante di un pubblico mondiale. Anche se al momento sembra poco probabile, nel passato rumors avevano riportato l’ipotesi di una fusione dei due programmi, che ne agevolasse (quanto meno dal punto di vista dei costi produttivi) la permanenza in onda. Days of Our Lives/Il Tempo della Nostra Vita è la sola soap trasmessa dalla NBC, ma ad ogni rinnovo di contratto se ne paventa la cancellazione. Dal canto suo General Hospital è la soap più vecchia attualmente in onda (ha esordito nel 1963), e l’unica trasmessa dalla ABC, visto che All My Children/La Valle dei Pini, cominciata il 5 gennaio 1970, ha chiuso i battenti il 23 settembre 2011, e One Life To Live/Una vita da Vivere, cominciata nel 1968, è andata in onda per l’ultima volta lo scorso 13 gennaio 2012.

In uno scenario di questo tipo sono state adottate molteplici strategie di sopravvivenza, tra le quali l’espansione narrativa su piattaforme mediali diversificate ha svolto un ruolo rilevante, pur se spesso perseguita in maniera approssimativa, estemporanea e speculativa.
Recentemente, dopo l’annuncio della cancellazione televisiva di All My Children e One Life To Live, la compagnia Prospect Park si è dichiarata disposta a continuare queste soap sul web, acquistandone i diritti.
Secondo la storica critica del genere, Marlena De Lacroix, la migrazione online è l’ultima strada percorribile per le soap opera americane: “(S)e Prospect Park tratta le sue acquisizioni nel modo giusto, potrebbe rendere le soap molto migliori. Potrebbe farle sembrare fresche e vive di nuovo, ristabilendo il cuore e l’anima che è stata spesso tanto compromessa durante il lungo lento declino”.

Sembra quindi che per sopravvivere le soap opera debbano affrontare un nuovo percorso migratorio: se alle origini si sono trasferite dalla radio alla TV, oggi devono cercare di reinventarsi dalla TV al web.
Questa prospettiva suscita almeno due ulteriori quesiti. In primis ci si deve chiedere se, pur se sul web, le soap non debbano comunque conservare la loro natura essenzialmente monomediale. Uno dei piaceri fondamentali di chi segue queste serie è quello di evadere in una realtà parallela, abbandonandosi alle intricate vicende familiar-sentimentali dei protagonisti.  Una versione più propriamente transmediale delle soap, richiedendo allo spettatore un’attività esplorativa dell’universo finzionale su più piattaforme, mal si coincilierebbe con questo piacere dell’abbandono.

Il secondo aspetto da considerare è l’effettiva attualità delle soap come struttura così concepita, quanto cioè possano ancora avere appeal questo tipo di storie, quando i social network, facebook e twitter in primis, ci offrono una finestra diretta sulla vita personale, sentimentale, se non anche sessuale, di molti protagonisti dell’intrattenimento mainstream.
Il ruolo del web non può quindi essere risolutivo in sè…la rete è solo uno degli ingredienti di un piano di salvataggio dall’esito quanto mai incerto, e ben più complesso di una semplice migrazione mediale.

Giada Da Ros

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