Xmp intervista Fabio Viola


Fabio Viola, è imprenditore , docente e autore di libri. Ha contribuito alla nascita di alcune start up in ambito entertainment, ed attualmente siede nella Board di DigitalFun s.r.l., società incubata da Ericsson dopo aver vinto il premio EGO come migliore start up tecnologica dell’anno nel 2008. Ha collaborato e collabora come Engagement Consultant per alcune grandi realtà internazionali come Technogym, Neutro-Roberts, Jakala, e Replay.
Negli ultimi 10 anni ha lavorato con i quartier generali di alcune delle più grandi aziende di gaming digitale: Electronic Arts, Vivendi Games Mobile, Namco, Digital Chocolate, Lottomatica, gestendo alcuni dei brand che hanno segnato il tempo libero di milioni di individui come Tetris, Pac-Man, Crash Bandicoot e Monopoly.
Ha partecipato in veste di speaker e chairman a diverse manifestazioni: Mobile Games Forum di Londra, Mobile Games Summit di Malta, IVDC, Game Convention di Lipsia, Social Media Week, Tosm di Torino.
Dopo esperienze con l’ Università IULM di Milano e con la Business School de “Il Sole 24 Ore”, è attualmente coordinatore del master in Gamification & Engagement Design presso IED Milano nonchè membro del board scientifico del Master in Teoria, Design e Applicazioni della Gamification dell’Università di Roma Tor Vergata.
 Ha pubblicato Gamifications. I videogiochi nella vita quotidiana (2011).

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Xmp: Ciao Fabio, grazie per la disponibilità. Inizio subito con una domanda sul fenomeno di cui sei tra i maggiori esperti italiani: Gamification…puoi darmene una definizione?

Fabio Viola: Mi torna più semplice dare una duplice definizione. La comunità scientifica ha ormai adottato, in maniera coerente, l’idea che la gamification sia una scienza che interseca teorie e tecniche di game design, psicologia, scienze comportamentali e (neuro)marketing per creare una super user experience in contesti non gaming. Come ebbi modo di scrivere in alcune presentazioni nel 2011 “Il corretto utilizzo della Gamification riesce a spostare i comportamenti di un utente portandolo da un Punto A (sfera di interesse personale) verso un Punto B (sfera di interesse di brand/enti pubblici/no profit). E’ possibile creare una stretta relazione tra A e B (engagement), un rapporto di fidelizzazione (loyalty), rendere più divertente e meno noiosa l’esposizione di A ad una attività B (more fun) o risolvere/migliorare un processo di interazione tra A e B (solve a problem).”.

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La definizione tecnica deve purtroppo scontrarsi col linguaggio comune che ormai vede persone di ogni ordine e grado intendere con gamification qualsiasi tipologia di esperienza in cui il gaming esce dal suo perimetro naturale di strumento di divertimento per abbracciare i più svariati settori della nostra quotidianità. Ed è qui che serious games, edugames, advergames, gamification si mescolano in un grande calderone.
Ciò premesso, non sono un grande amante dei perimetri circoscritti e non mi innamoro delle definizioni. Il termine gamification ha sicuramente riscosso un successo straordinario portando aziende e individui a confrontarsi, spesso senza il giusto bagaglio tecnico, con un medium sempre più egemone per la generazione corrente.

Xmp: Una caratteristica delle narrazioni transmediali è quella di prevedere ‘aree’ in cui il pubblico può interagire in maniera diretta con l’universo finzionale, spesso attraverso meccaniche ludiche. Anche in questo caso siamo nei territori della gamification?

Fabio Viola: Ne ragionavo recentemente a proposito di Pirate Fishing, progetto transmediale realizzato dagli italiani di Altera Studio per Al Jazeera. Nei comunicati stampa ufficiali e nella chiacchierata che ho avuto col creative director Ivan Giordano, si fa espressamente riferimento alla gamification come soluzione introdotta per creare una connessione con targets solitamente meno interessati al giornalismo investigativo ed ai video-documentari. Non è un caso che il progetto introduca numerose meccaniche tipiche del gaming come badge, punti, livelli ed una interfaccia di gestione game like.

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Una differenza sostanziale la si può notare con un altro progetto, secondo me anch’esso profondamente innovativo, come Inside the Haiti EarthQuake. Gli stessi sviluppatori hanno esplicitamente chiarito che per loro non è un videogioco, ne tantomeno gamification, eppure su siti come Games for Change viene definito “game”. Fermo restando che concordo con gli sviluppatori, non ha gli elementi che contraddistinguono una esperienza ludica, questo piccolo esempio ci riporta al problema generale delle definizioni, a volte tra gli stessi addetti ai lavori.

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Xmp: Più in generale, secondo te, quale il motivo per il quale sempre più frequentemente prodotti narrativi vengono ibridati con meccaniche ludiche? Quali obiettivi ci si pone, quale valore aggiunto si ottiene?

Fabio Viola: Io credo che il gaming abbia delle modalità tutte sue di raccontare storie che rappresentano al meglio i tratti distintivi della generazione che sta diventando numericamente dominante, i Millenium o Generazione Y (nati dopo il 1980). Provando a schematizzare alcuni tratti unici:

I videogiochi sono il regno della libertà di scelta: andiamo a destra o sinistra? Parliamo con questo o con quel personaggio? Reagiamo in un modo o nell’altro ad una data situazione?
I videogiochi rendono il giocatore protagonista: Siamo noi gli eroi ed i protagonisti assoluti. Questo aiuta tremendamente nell’immersione della storia, il giocatore diventa in un certo grado il co-designer dell’esperienza.
Easy to play, hard to master: i videogiochi semplificano le azioni da compiere rendendole inizialmente semplici e progressivamente più complesse in relazione alle abilità acquisite. Questo è straordinariamente forte a livello di engagement, consentendo l’immersione in problematiche e scenari non accessibili nella vita reale.
Feedback Loop: in tempo reale il sistema ci informa se stiamo performando bene o male una azione (se sferro un colpo ad un nemico, la progress bar mi indicherà istantaneamente se l’ho colpito o meno e quanto danno ho inflitto) aiutandoci a rinforzare o modificare dei comportamenti.
Learning by doing: Nei giochi si matura attraverso l’esplorazione e l’azione. Le idee teoriche trovano corrispondenza sul campo. Paradossalmente il fallimento viene incoraggiato, cosa che mai accade nella vita reale, come strumento per progredire e rinforzarsi nella storia.

Xmp: Affermazione della gamification e ruolo sempre più rilevante dei videogiochi nella cultura popolare…esiste un nesso tra i due trend secondo te?

Fabio Viola: Se è vero che la gamification sorge sui 4 pilastri inizialmente esposti (game design, psicologia, marketing e scienze comportamentali), è innegabile che il fattore scatenante di questo successo sia largamente dovuto all’allargamento della platea di persone esposte ai videogiochi. Se fino a 10 anni fa, il videogiocatore tipo era identificato con un individuo di sesso maschile under 30, oggi abbiamo una larghissima presenza di donne (ormai il 50% ed oltre in alcuni segmenti) con un progressivo innalzamento dell’età media, basti pensare che l’Entertainment Software Association americana ci riporta un +32% tra il 2012 ed il 2013 di donne over 50 video-ludicamente attive. Questa esposizione alle meccaniche e dinamiche dei videogiochi di platee sempre più ampie ha dato forza ad aziende ed enti pubblici nell’approcciare i propri bacini di utenza in modo inedito sapendo di poter contare su una base esperienziale già radicata Ed ovviamente è inutile negare come il game design rappresenti un fattore chiave per stimolare quell’engagement che è sempre più obiettivo ricorrente nelle strategie aziendali e non.

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Xmp: Sulle dinamiche che descrivi ha un ruolo anche la massiva diffusione dei social network?

Fabio Viola: I social network hanno sicuramente spinto le aziende video-ludiche a esplorare maggiormente alcune meccaniche di gioco come l’asincrono e l’aspetto cooperativo dell’esperienza. L’esperienza maturata dal 2007 nei social games si è notevolmente riverberata sul modo di disegnare i giochi digitali. Ma è possibile vedere traccia anche in esperienze interattive in contesti esterni, penso al meraviglioso Spent, una esperienza di gamification volta a sensibilizzare la popolazione sul tema della povertà. Lo storytelling emotivo si interseca con meccaniche viste inizialmente in prodotti come FarmVille: di fronte ad un dato problema spetta a noi prendere delle decisioni impattanti sul nostro quantitativo di denaro in banca, in alternativa è possibile chiedere l’aiuto di un amico tramite Facebook per sbloccare il problema. In questo modo si crea un soluzione win win, io giocatore riesco a proseguire nei 30 giorni di “povertà” ed io sviluppatore ti incentivo a portare nel gioco, in maniera organica e ricca di engagement, altri players.

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Xmp: Secondo te che rapporto esiste tra storytelling e gaming? Nella sua intervista Peppino Ortoleva mi ha sottolineato come la distinzione tra gioco e narrazione sia radicata nella nostra cultura, ma non lo sia altrettanto dal punto di vista concreto, portando l’esempio di Barbie come ‘gioco con racconto incorporato’; Milly Buonanno mi ha invece espresso una posizione sostanzialmente opposta, sottolineando come la forte componente ludica di questi universi narrativi metta a sua avviso in discussione il fatto stesso che ci si trovi davanti a ‘narrazioni’ e non, piuttosto, ad oggetti mediali diversi…

Fabio Viola: C’è un forte dibattito anche nell’industria dei videogiochi rispetto a due strade percorribili nella progettazione di una esperienza. Da una parte abbiamo produzioni come Call of Duty di Activision che sono disegnate attorno ad un forte gameplay (l’interazione del giocatore con il sistema e/o altri giocatori), mentre altri prodotti come The Walking Dead di Telltale Games che fanno dello storytelling l’elemento primario di immersione. Intersecare in maniera funzionale le due possibilità non è facile, significa offrire la possibilità di compiere “meaningful choices” all’interno di un mondo virtuale ricco di interazioni e questo complica enormemente il lavoro, spesso creando delle discordanze tra storia e esperienza di gioco.
Personalmente penso che la narrazione, impostata dallo sviluppatore e sequenziale alle scelte del giocatore, rivestirà sempre più un ruolo importante avvicinando sempre più i videogiochi alle pellicole ai libri (ma non penso che questi generi diversi, così come sono oggi concepiti, diventeranno un tutt’uno)

Xmp: Mi sembra evidente che un concetto chiave sia quello dell’esplorazione. Anche in questo caso si tratta di un legame, di una continuità, del mondo video ludico con quello del transmedia storytelling?

Fabio Viola: Negli ultimi anni i videogiochi hanno intrapreso sempre più spesso la strada di “open worlds”, mondi aperti e non lineari in cui viene esaltata la componente di libero arbitrio ed esplorazione dei giocatori. Pensiamo a giochi come Red Dead Redemption, Grand Theft Auto V e Minecraft, non più imbrigliati in livelli pre-definiti ma in scenari, a volte fedelmente ricostruiti rispetto alla controparte reale, nei quali vi è una più o meno ampia libertà di interazione. Se ci soffermiamo ad analizzare il gameplay di molti giochi open worlds noteremo sempre una certa tendenza del designer a mantenere il controllo dell’esperienza attraverso l’introduzione di missioni obbligatorie o laterali da portare a termine, fondamentale per continuare a veicolare una narrazione.

Xmp: Quindi, tornando ad una tua risposta precedente, il gaming ‘è il regno della libertà di scelta’…ma solo fino ad un certo punto…vorrei qualche tua riflessione su questo…

Fabio Viola: La libertà di un giocatore nel gioco è direttamente proporzionale alla capacità che il designer ha di prevedere e gestire tale libertà. Credo che l’elemento che impatta sulla giocabilità del prodotto sia la possibilità di prendere il numero più ampio possibile di scelte complesse. E’ molto semplice consentire “choices” che non hanno dirette ripercussioni sulla storia e sul gameplay, in questo diventano libertà quasi “ornamentali”. Per rendere meaningful una scelta, è necessario che vi ricorrano alcuni tratti persistenti: consapevolezza, che abbiano conseguenze, che siano confrontabili e permanenti.

Xmp: Una provocazione, parlando di gamification…Luca Giuliano, nella sua intervista, si è espresso in questi termini ‘Francamente, navigo per questi mari da più di trent’anni e mi sembra che non ci sia nulla di particolarmente innovativo. E’ stata sicuramente una bella invenzione di marketing per rivendere cose già note. Gli americani in questo sono bravissimi. Non riesco a vedere nulla di nuovo quando si parla di applicare il gioco a pratiche di apprendimento, addestramento, comunicazione pubblicitaria o quant’altro.’…Su questo punto vorrei la tua opinione…perchè/quanto/come la gamification è invece qualcosa di significativamente innovativo rispetto a quanto visto nei decenni passati?

Fabio Viola: In parte Giuliano dice il vero, come ho premesso ad inizio intervista la scienza della gamification è la confluenza ragionata ed organica di discipline già esistenti. Quello che è accaduto dal 2010 è stato passare da esperimenti isolati ad una massa di case histories che ha aiutato la standardizzazione dei processi offrendo quindi la possibilità non solo alle grandi aziende di accedere a questo nuovo modo di pensare e disegnare le esperienze.

Xmp: Tra quelli tradizionali, c’è un medium che più degli altri sta dimostrando flessibilità nell’adattarsi a contenuti caratterizzati dall’inserimento di elementi ludici in contesti narrativi o più in generale in contesti non direttamente di gioco ?

Fabio Viola: Il cinema, con tutte le sue espansioni video, è da sempre fonte di ispirazione nell’enviromental storytelling. Questa capacità di scrittura narrativa è una ottima base di partenza su cui innescare elementi ludici in grado di trasportare l’esperienza nell’universo dell’interazione.

Xmp: Hai casi di studio di prodotti italiani che ibridano narrazione e gamification che pensi valga la pena segnalare?

Fabio Viola: Il caso di Pirate Fishing mi sembra, ad oggi, una delle migliori esperienze…Anche se ancora in fase di sviluppo, consiglio di tenere d’occhio il progetto (in cui sono direttamente coinvolto con la mia azienda DigitalFun in partnership con Fulfill Communication) TuoMuseo.it, una piattaforma che racconta e divulga il nostro patrimonio culturale in modo innovativo facendo ampio uso di storytelling e gamification. Credo sia fondamentale per avvicinare nuove fette di utenza ad una delle risorse più importanti in Italia rendere le esperienze: ingaggianti, partecipative e sociali.

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