The Lost Experience…Lost in Transmedia (3)


…in questo terzo – e ultimo – post dedicato a The Lost Experience (TLE), intendo soffermare l’attenzione su come, in questo arg, vengano concretamente declinati gli elementi ricorrenti di questa nuova forma ludica, elementi che avevo descritto in questo post, ed avevo richiamato in maniera molto rapida alla fine del secondo post dedicato a TLE.

Gli arg si svolgono su molteplici livelli di realtà che, appunto, si alternano nel corso dello svolgimento del gioco: questa è la caratteristica centrale, l’elemento strutturale fondamentale di ogni alternate reality game. In Lost Experience i piani di realtà utilizzati, mediati o immediati, sono molteplici, come del resto evidente dalla descrizione dello svolgimento del gioco stesso. I primi rabbit holes vengono diffusi in televisione, con un passaggio immediato all’utilizzo del telefono, per chiamare uno dei numeri apparsi alla fine di alcuni spot per il piccolo schermo. Subito dopo è il web ad assumere un ruolo fondamentale, sia tramite siti costruiti ad hoc, sia attraverso l’utilizzo di piattaforme preesistenti destinate alla condivisione di user generated content finzionali (i video di Rachel inseriti nel suo blog ma poi rilanciati viralmente su youtube). C’è poi il libro Bad Twin, artefatti diegetici come gli snack Apollo, che appaiono nei locali sotterranei della base nell’isola e nel periodo in cui si svolge l’Experience vengono effettivamente venduti in luoghi ed in occasione di specifici eventi segnalati nel sito apollocandy.com. Nell’incarto di alcuni di questi snack viene segnalato un altro sito (whereisalvar.com) connettendosi al quale i partecipanti ricevono ulteriori elementi per scoprire il destino di Alvar Hanso. Fino appunto ad eventi dal vivo come il blitz di Rachel al San Diego Comic Con del 2006, o ai livepodcast di Djdan. Un flusso ludico che si snoda quindi, tra piccolo schermo, web, eventi dal vivo, carta stampata, web radio, telefonia…alternate reality, appunto;

Gli arg utilizzano frequentemente i meccanismi tipici della caccia al tesoro: come visto l’elemento centrale di TLE è lo Sri Lanka Video, che per tutelare la propria incolumità Rachel posta online segmentandolo in 70 parti, ognuna delle quali visionabile solo recuperando uno specifico codice di accesso. Vale la pena citare alcuni dei luoghi fisici, dei medium e delle circostanze in cui sono stati diffusi questi settanta codici alfanumerici, necessari a ricostruire il video nella sua interezza:

  •  i codici 3 e 4 si trovavano sui bracciali indossati da Jorge Garcia e Damon Lindelof nel corso del Comic Con 2006;
  • il codice 18 si trovava all’interno della rivista ufficiale di Lost;
  • il codice 24 si trovava sulla vetrina di un comic shop lungo la Pitt Street di Sidney;
  • i codici 28 e 36 si trovavano all’interno del magazine People;
  • il codice 39  è stato proiettato su un maxischermo a Times Square;

  • il codice 45 era inserito nella rivista Entertainment Weekly, in una pubblicità della Jeep;
  • il codice 53 era inserito nel sito Monster.com.

È del tutto evidente che la ricostruzione dello Sri Lanka Video è possibile solo attraverso una vera e propria caccia al tesoro, alla rincorsa dei diversi codici alfanumerici necessari a ricomporlo. Una rincorsa che nella maggior parte dei casi richiede al partecipante di spostarsi su media diversi, ma in alcune circostanze lo spinge invece ad una partecipazione fisica, in prima persona.

Gli arg dissimulano – quando non nascondono propriamente – la natura ludica dell’esperienza che si attraversa partecipandovi (Tinag). Per The Lost Experience questo è vero sin da subito, con i primi rabbit holes, inseriti, come detto, in spot televisivi finzionali, ma indistinguibili dagli altri trasmessi nel corso dello stesso stacco pubblicitario. Logica medesima quella degli annunci (in forma di lettera aperta) che la Hanso Foundation fa pubblicare su varie testate statunitensi per smentire il contenuto diffamatorio del libro Bad Twin, fino all’intervento di Hugh McIntyre (responsabile della comunicazione della Hanso, ovviamente interpretato da un attore) nella puntata del Jimmy Kimmel show del 24 maggio 2006.

Tutti elementi che sembrano avere una propria ragion d’essere, del tutto indipendente dalla loro reale funzione di tessere di un mosaico ludico, funzione che viene lasciata volutamente sottotraccia. Ma forse è proprio nel blitz di Rachel al Comic Con 2006 che questa liquefazione dei confini da gioco e realtà – tra qualcosa che accade sono in quanto parte di un meccanismo ludico e qualcosa che invece sta accadendo davvero – raggiunge il suo momento più alto all’interno dell’Experience.

Ivan Askwith, nel suo paper dedicato a Lost Experience, sostiene invece che il fatto che il gioco fosse stato lanciato in una conferenza stampa, descritto esplicitamente come gioco, come esperienza di marketing immersivo, indichi l’abbandono del principio del Tinag. Io direi si tratti piuttosto di una sua declinazione meno ortodossa. Del resto lo stesso Askwith nelle conclusioni del suo paper afferma che:

«ARGs may be able to successfully move away from the more traditional, hard-line “This Is Not A Game” stance that veteran ARG participants are drawn to, in favor of games that declare themselves to be immersive narrative campaigns prior to beginning. That said, ARG producers would be well advised to choose a position on the ‘reality spectrum,’ and design both the campaign and any promotional materials for the campaign, to remain consistent with that position.»

Quello degli Arg, è un fenomeno di crescente rilievo, che coinvolge attivamente centinaia di migliaia di persone, che rimangono comunque una nicchia rispetto al pubblico mainstream. Nell’ambito dei transmedia studies, l’analisi di alternate reality games risulta interessante perché questi giochi, pur essendo solitamente segmenti di ben più ampi franchise transmediali,  ne riproducono in un contesto più circoscritto molte delle caratteristiche salienti. Infatti, come per il transmedia storytelling, anche per gli arg:

  • è richiesto un coinvolgimento attivo del pubblico (che nel Tms è fortemente stimolato, rimanendo comunque opzionale);
  • è richiesto al pubblico di spostarsi da un medium all’altro per seguire e partecipare alle varie fasi del gioco;
  • la complessità degli elementi messi in gioco impone ai partecipanti di mettere in moto dinamiche di intelligenza collettiva. Lost Experience, richiedeva ai suoi partecipanti la capacità di risolvere anagrammi, di usare Photoshop, nozioni di trigonometria, di mitologia classica, una buona conoscenza della Bibbia e della lingua coreana, la possibilità di consultare il People Magazine e l’Entertainment Weekly, un software per convertire file ASCII…è evidente come fosse assai poco plausibile che un singolo partecipante a TLE poteva possedere tutte queste competenze…

Gli arg possono inoltre essere una buona leva per incrementare la socializzazione, la creazione di community intorno ad uno specifico franchise. In fondo l’elevato numero di sitiweb, forum, blog dedicati a Lost dai fan più attivi, e quelli finzionali appositamente creati per espandere i confini dell’isola (ma non necessariamente connessi a TLE o agli altri due arg legati alla serie, Find815 e Dharma Initiative Recruiting Project)  sono il motore ed al contempo il frutto della socializzazione realizzatasi intorno alla serie di Abrams, Lindelof e soci, in un circuito virtuoso in cui l’intelligenza collettiva diventa l’intelligenza al tempo del social, e la narrazione la scintilla sempre più spesso chiamata ad attivarla, realizzando quello che ha in mente Lance Weiler quando dichiara che nel futuro prossimo la condivisione di universi finzionali, di narrazioni, sarà il motore dei social network, anzi sarà essa stessa social network, e più delle piattaforme tecnologiche, saranno gli universi narrativi a diventare luogo di incontro, non solo tra i personaggi che li abitano ma anche tra i fan che li seguono, interagendo fra loro.

Infine gli Arg condividono con il transmedia storytelling la progressiva – direi quasi definitiva – erosione dei confini che separano il marketing dall’entertainment,  l’advertisment dalla narrazione, lo sponsor che finanzia lo spettacolo, dallo spettacolo vero e proprio. Nel transmedia storytelling ogni segmento del racconto, soprattutto se non inserito nella dorsale narrativa principale, oltre ad essere parte della storia, dell’universo finzionale che si sta raccontando, è anche lancio promozionale per gli ulteriori futuri sviluppi del franchise (si pensi ad esempio a Missing Pieces, la serie di webisodes di Lost, diffusi tra la fine della terza e l’inizio della quarta stagione televisiva). In altri termini, nel Tms, il franchise – migrando da un medium all’altro – fa promozione a se stesso. L’Arg Lost Experience, ha raccontato la storia di un personaggio inedito, Rachel Blake, ma è anche stata attività promozionale, implementata a tre diversi livelli. Il primo si rileva nell’utilizzo, per diffondere i codici necessari alla ricomposizione dello Sri Lanka Video, di spot pubblicitari televisivi (Sprite, Jeep, Verizon, Monster.com), che quindi erano advertising in senso stretto e al contempo schegge di narrazione crossmediale. Ad un secondo livello l’Experience ha narrato la vicenda di Rachel Blake ma ha anche (soprattutto!) tenuto alta l’attenzione dopo il termine della seconda stagione, facendo da traino all’avvio della successiva. Infine ad un terzo livello, che da l’indirizzo ultimo a tutta l’operazione, l’Experience, nel suo chiedere ai fan di Lost di mettersi in gioco fisicamente, partecipando ad una caccia al tesoro per scoprire alcuni dei misteri della serie, si è posta, e si pone ancora, a tutti gli effetti, come un riuscito esempio di campagna di marketing esperienziale.

Del resto l’arg si sviluppa sin dagli esordi come gadget ludico-promozionale finalizzato al lancio di più ampi prodotti di intrattenimento, e sviluppa ancor più questa capacità – e volontà – di ibridare materiale promozionale e materiale narrativo. Anche in questo senso The Lost Experience è molto rappresentativo. Come visto alcuni degli indizi e dei codici alfanumerici che i partecipanti all’Experience erano chiamati a raccogliere per ricomporre lo Sri Lanka Video erano nascosti in spot della Jeep, della Verizon, della Sprite, di Monster.com. In alcuni casi, come risulta dai commenti nelle community, l’inserimento di questi sponsor nel flusso del gioco è risultato poco credibile, poco giustificabile dal punto di vista narrativo (questo tipo di critiche si concentrarono soprattutto sul coinvolgimento della Sprite e del suo sito Sublimonal.com). Per Monster.com le reazioni furono molto più positive. Era stato costruito un sito ad hoc, HansoCareer.com in cui la presenza dell’azienda leader del jobrecruiting online, Monster, era giustificata proprio dal fatto che la Hanso le avesse affidato il compito di curare la selezione di nuove figure professionali. Ovviamente questo incarico era finzionale, ma dal punto di vista narrativo reggeva e risultava molto più naturale, convincente ed innovativo di qualsiasi product placement.

Su questo argomento, trovo molto efficace la sintesi fornita da Askwith nel suo – già citato – paper :

«the success of sponsor integration within ARGs will depend, in large part, on selecting sponsors and product lines that match the content of each game’s narrative. The rule here for prospective ARG designers is simple: if a sponsor is integrated into your campaign, there needs to be a plausible and organic reason for their presence. […] In a best-case scenario, however, sponsor brands will do more than fit into a narrative: like the sponsored sites from Monster.com and Jeep, they will position the events of the narrative in the fabric of the real (commercial) world, and in doing so, will enhance the player’s immersion into the alternate reality of the game.»

Con The Lost Experience avrei concluso…

Buon Capodanno a tutti!!!

A presto

Cor.P

Vai al post The Lost Experience…Lost in Transmedia (1) e (2)


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Dead Set…non solo crossmedia


Dead Set è una miniserie inglese trasmessa da E4 e Channel4 nel 2008  e qui in Italia da Mtv, il novembre scorso. Un pilot di 45 minuti ed altri 4 episodi di circa 24 minuti per un gioiello horror.

La trama è facilmente riassumibile: i concorrenti del Big Brother, chiusi nella casa, non s’accorgono che il mondo esterno è ormai in mano agli zombie. Ma questi, dopo aver distrutto la città, arriveranno ad assediare i protagonisti del reality, che da unici superstiti, lotteranno per la sopravvivenza asserragliandosi nella casa.

In un profluvio splatter del quale dubito esistano precedenti sul piccolo schermo, la serie è puro entertainment a neuroni accesi: il sangue e le interiora in bella vista, che non possono mancare in un zombiehorror degno di questo nome, non cancellano la sarcasticamente credibile ricostruzione del dietro le quinte televisivo, a cui contribuisce la presenza, nel cast, di veri ex concorrenti del BB e della stessa presentatrice, Davina McCall (che fa bella mostra di se nella foto in alto). E se i morti viventi dell’alba Romeriana, in una coazione a ripetere, tornavano al centro commerciale, quelli di Charlie Brooker, autore di Dead Set, tornano a voler entrare nella casa del Big Brother.

Eccellente la qualità complessiva del prodotto: recitazione decisamente al di sopra di quella di molti horror per il grande schermo, ottimi effetti speciali, niente buchi di sceneggiatura ne cali di ritmo…del resto in questo caso, come già in 28 giorni dopo, i morti viventi corrono velocissimi.

Ne parlo qui perchè lo ritengo un prodotto degno di nota, a mio parere superiore al ben più celebrato The Walking Dead, e non perchè esempio di narrazione crossmediale, che anzi, almeno per ora, non trova posto nel prodotto di Charlie Brooker. La serie è perfettamente compiuta, ed il sito ufficiale, dal punto di vista diegetico, non offre contenuti aggiuntivi. Ma non se ne sente la mancanza, perchè non sempre, quanto a possibilità espressive, l’espansione crossmediale è la soluzione più coinvolgente. Al riguardo trovo perfette le parole del commento di Sepsis, ultimo (ad oggi) tra quelli lasciati dai fan nel sito ufficiale della serie:

«Leave well enough alone. This was a great story, that was well casted and performed. No need for sequels, prequels, or any other such nonsense. To do so would only cheapen this fantastic production. Love it, and move on».

Anche se dal punto di vista economico può non essere la soluzione preferita dalla produzione, a volte saper mettere il punto, saperlo fare subito, è la soluzione migliore…e l’opposto del narrare crossmediale. Del resto rinunciare al transmedia storytelling non significa non offrire al pubblico occasioni di fruzione espansa, esse stesse fonti di profitti: sito web, episodi in streaming online, action figures, Dvd…

Concludo segnalando contenuti utili per chi, su Dead Set, volesse saperne un po’ di più: la recensione su horrormovie, il dossier su Splattercontainer e l’articolo su strongbloodyviolence

A presto

Cor.P

nXm: i caratteri ricorrenti (4) – Additive Comprehension


Eccoci al quarto dei caratteri ricorrenti della Narrazione Crossmediale, elencati in un post di qualche settimana fa.

Ogni singolo segmento narrativo deve fornire il suo specifico contributo alla costruzione e comprensione del franchise (cd. additive comprehension)

Ogni singolo modulo narrativo, qualunque sia il canale distributivo da cui è veicolato, deve fornire uno specifico contributo alla costruzione del mondo finzionale del franchise, evitando quindi eccessive ridondanze con i contenuti già distribuiti su altre piattaforme, e fornendo allo spettatore informazioni aggiuntive che gli consentano di comprendere sempre meglio aspetti eventualmente solo accennati in moduli narrativi precedenti. Un esempio interessante in questo senso è quello dell’Alternate Reality Game Lost Experience lanciato tra la fine della seconda e l’inizio della terza stagione della serie televisiva di J.J.Abrams. Partecipando all’Experience gli spettatori della serie tv venivano premiati con lo svelamento di parte dei segreti lasciati irrisolti alla fine della seconda stagione.

La protagonista di Lost Experience, in una storyline parallela a quella della serie per il piccolo schermo,  è Rachel Blake, dipendente della fantomatica Hanso Foundation, di cui ha scoperto le reali e sinistre finalità, celate sotto le ben più accettabili insegne degli scopi umanitari. Convinta che la fondazione sia anche responsabile della morte di sua madre, Rachel dissemina su vari media informazioni riservate della Hanso, per denunciarne le reali, sinistre, mire. Partecipare alla Lost Experience significa quindi ricercare e dare un significato complessivo a queste informazioni, disperse in spot pubblicitari mandati in onda nei break delle puntate televisive, in eventi live, in video caricati su Youtube, in segreterie telefoniche di cui i partecipanti devono riuscire a trovare il numero…

Specificamente, settanta codici numerici, opportunamente raccolti dai partecipanti all’alternate reality game, consentono di ricostruire un filmato di oltre sei minuti (lo Sri Lanka Video) in cui viene spiegato il significato della sequenza di numeri trasmessa dalla centrale radio dell’isola: 4, 8, 15, 16, 23 e 42 (la cd. equazione di Valenzetti).

Quindi in questo caso la ricompensa all’appassionato di Lost che sia disposto ad inseguire la serie anche al di fuori dei confini del piccolo schermo, è quella di avere un vantaggio cognitivo – saperne di più – rispetto a chi si limita alla sola fruizione televisiva (monomediale), nel corso della quale il significato della sequenza numerica non verrà mai svelato. Ed è evidente che per i fan di una serie di culto, saperne di più non è una ricompensa da sottovalutare…

Per un’approfondita descrizione (quasi una cronaca giornaliera) della Lost Experience segnalo il dettagliatissimo blog di alteRaego. Sul franchise Lost in generale, rimando invece a lostdiscovery.com e alla lostpedia.

A presto

Cor.P

The Walking Dead


The Walking Dead, serie a fumetti ideata nel 2003 da Robert Kirkman per la ImageComics, è stata recentemente adattata da Frank Darabont per il piccolo schermo, nell’omonima serie tv che ha esordito il 31 ottobre scorso negli Usa (sulla tv via cavo AMC) e il primo novembre in Italia, su Fox.

Come detto, siamo dalle parti dell’adattamento e non della narrazione crossmediale. La serie merita comunque di essere citata su XmPeppers come ennesimo esempio di  prodotto d’intrattenimento fruibile in maniera espansa.

Il fumetto, la serie tv, action figures, …e il bel trailer di lancio ideato dalla AMC a fare da anello di congiunzione, vero e proprio omaggio al fumetto, ed al contempo una sorta di esplicito link tra il prodotto cartaceo e la serie televisiva, primo passo dalla cellulosa all’etere.

Dei due video seguenti, il primo è realizzato da un utente di youtube, a partire dalle strisce originali del fumetto. Il secondo è invece il trailer animato realizzato dall’AMC. Facendoli scorrere in parallelo è evidentemente come, almeno nel trailer di lancio, la AMC abbia dichiarato massima fedeltà al fumetto di Kirkman.

Sempre nella logica della fruizione espansa e della possibilità di garantire allo spettatore molteplici punti d’accesso al franchise, va citato il concorso che si svolge immediatamente dopo la prima messa in onda (domenica sera) della puntata negli Stati Uniti.

Durante uno dei break commerciali, appare sullo schermo un codice. Tra chi, entro le 6 del mattino successivo alla messa in onda della puntata, si connette al sito della AMC dedicato al contest, compila l’apposito form e vi inserisce il codice corretto, verrà estratto uno spettatore che vincerà il ruolo di zombie in una delle puntate successive della serie.

Un concorso di questo tipo è un ulteriore modo per garantire la fruizione espansa del franchise The Walking Dead, offrendo agli spettatori la possibilità di prendere fisicamente parte al set ed incoraggiando a seguire il franchise su un’altra piattaforma, il web, unico canale per iscriversi e partecipare al concorso. Quindi, in questa prospettiva, una classica operazione di marketing (un concorso a premi) diventa un ulteriore mezzo di fruizione espansa del franchise.

Concludo segnalando, per chi fosse interessato ad un primo approfondimento sulla serie tv The Walking Deadil post di Barbara Maio, tra i maggiori esperti italiani di serialità televisiva statunitense. Per la serie a fumetti è invece possibile leggere gratuitamente online tutto il primo albo, sul sito della ImageComics. Infine per approfondimenti sul franchise nel suo complesso segnalo il sito www.the-walking-dead.net e lo special su SplatterContainer.

A presto

Cor.P

nXm: i caratteri ricorrenti (2) – Worldbuilding Storytelling


Con questo post inizio a dedicare un iniziale approfondimento al primo dei caratteri ricorrenti della narrazione crossmediale, elencati nel post precedente.

Le storie crossmediali sono storie di complessi mondi finzionali


…l’ampio respiro che esige una narrazione in grado di rilanciarsi, idealmente senza fine, da un media all’altro, rende funzionale allo scopo la creazione di universi finzionali profondamente articolati, spesso popolati da un elevato numero di personaggi, disseminati di elementi ricchi di potenziale narrativo latente, pronto ad essere sviluppato su altri media. In questo senso si pensi alla saga de I Simpson, che vede proprio nella creazione di un mondo finzionale a 360° uno dei suoi punti di forza. Ecco quindi la convincente caratterizzazione scenografica, dalla città di Springfield, ai vari interni ricorrenti: la casa dei Simpson, la scuola, la chiesa, il pub di Boe, il Jetmarket di Apu.

Il tutto vivificato dalla popolazione della cittadina, che nel corso delle puntate affianca i cinque protagonisti Homer, Marge, Lisa, Bart e Maggie, ed i cui membri, in alcuni episodi, assurgono al ruolo di protagonisti. Tra gli altri basti citare il boss della centrale nucleare, Montgomery Burns, ed il suo assistente Smithers; il preside Skynner e l’insegnante Edna Kabrapal; le due sorelle di Marge, Patty e Selma; il titolare del JetMarket, Apu, e quello del pub, Boe; i colleghi di Homer, Lenny e Carl;  gli amici di Bart, Milhouse e Nelson; il reverendo Lovejoy e i membri delle famiglia Flanders, Ned, Maude, Rod e Todd, ultracattolici vicini di casa dei Simpson.

Questi elementi, uniti alla dettagliata costruzione dei protagonisti, rappresentano un terreno fertilissimo per eventuali sviluppi narrativi su altri medium. Tra i numerosi possibili, interessante è l’esempio dei fumetti de L’uomo Radioattivo, di cui Bart Simpson è appassionatissimo, come si evince dalle visite assai frequenti che fa al negozio dei fumetti di BookGuy. Il potenziale narrativo di questa passione di Bart è stato pienamente sviluppato nel momento in cui, nel 1993 è stata effettivamente distribuita nelle edicole americane una serie a fumetti dedicata a Radioactive Man.

L’Uomo Radioattivo è un supereroe dei fumetti creato negli anni cinquanta, ironicamente ispirato agli eroi Marvel e idolo di tutti i bambini di Springfield. Come molti supereroi del “mondo reale” anche l’Uomo Radioattivo ha una spalla, il Ragazzo Ionico (Fallout Boy). Se l’Uomo Radioattivo può essere visto per certi versi anche come una parodia di Superman, il comportamento del Ragazzo Ionico è decisamente ispirato a quello di Robin, la spalla di Batman. L’uomo radioattivo esce dal mondo finzionale de I Simpson, diventando un fumetto effettivamente disponibile nelle edicole statunitensi nel 1994 (nel 1999 in Italia). Gli albi sono pubblicati come fossero quelli visti nelle mani di Bart nel corso degli episodi della serie televisiva. Quindi con numerazione e datazione fittizia, che parte dal numero 1 del 1952 (pubblicato in realtà, come già detto, nel 1994). Così ad esempio in un albo del “1970” c’è una lettera da parte di una lettrice di 10 anni…Marge Bouvier!

In questo tipo di narrativa c’è quindi un maggior bilanciamento tra peso dei personaggi e peso dell’universo finzionale in cui si muovono, quando non un evidente sbilanciamento verso quest’ultimo aspetto.

Così, oltre ai Simpson, molte altre serie televisive come StarTrek, Babylon 5, X Files e Buffy the Vampire Slayer presentano mondi articolati, che non si limitano a fare da sfondo all’avanzare del racconto, ma forniscono molteplici partenze potenziali per nuove avventure e scoperte, in cui l’esplorazione geografica del mondo finzionale fornisce lo spunto più naturale per l’espansione della narrazione su più media. In questo senso si parla storytelling envinroment, cioè di una ambientazione capace di essere essa stessa generatrice di storie, perchè la presenza di strutture spaziali ben delineate nella narrazione, ed al contempo il richiamo all’esistenza di spazi ulteriori, crea la precondizione fondamentale affinché la narrazione possa intraprendere il proprio viaggio attraverso aree inesplorate dell’universo finzionale, per il tramite di canali mediali diversificati.

A presto

Cor.P

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