Eccoci alla seconda parte dell’intervista a Marco Zamarato (vai alla prima parte).
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Xmp: Parlami del tuo ruolo nella realizzazione di Frammenti.
Marco Zamarato: Come quello di tutte le persone coinvolte in Frammenti i miei ruoli sono sempre stati molteplici e variabili. Assieme agli altri ragazzi di LOG607 (Tomas Barazza, Fabio Salvadori, Giulia Pozzobon e Giulia Salviato) e di Shado (Valerio di Paola, Gianluca Marino), ho seguito tutte le fasi del progetto, dalla creazione della storia e della dinamica di gioco fino all’ultima puntata; ho sempre pensato che il mio compito principale fosse di controllare e mantenere la coerenza della storia ed espandere l’esperienza oltre al video. Poi in pratica questo significa aver speso i mesi iniziali progettando la dinamica di gioco, e poi adattando la storia di Simone Sarasso al nuovo format. Durante la fase di produzione mi sono principalmente occupato della creazione dei giochi e degli enigmi di Frammenti e ancora una volta di assicurarmi che questi si unissero a dovere con le riprese di Valerio (di Paola, il regista degli episodi) in un flusso unico e coerente. Per diversi mesi tutta la storia, i personaggi e gli intrecci, gli enigmi e i ‘frammenti’ sono stati disseminati su decine di fogli di carta che continuavano a essere rivisti, aggiornati e riorganizzati assieme a Tomas, Fabio, Giulia e Gianluca. Bisognava fare attenzione perché anche solo una battuta diversa, o una scena tagliata era in grado di cambiare il significato di una sequenza o invalidare uno dei tanti indizi che avevamo già creato e nascosto, nel web o nel mondo reale.
Come ti ho già detto una grossa parte della produzione di Frammenti per noi di LOG607 è stata la creazione di tutti gli indizi, testi, inserzioni, immagini, siti web, blog, libri etc…
Xmp: C’è qualche tecnica, qualche metodo, qualche strumento, che faciliti almeno un po’ questo mantenimento della coerenza complessiva del prodotto?
Marco Zamarato: Tante checklist e almeno un documento dove l’intera esperienza è spiegata in maniera sequenziale e annotata. Non si tratta della sceneggiatura ma della mappa dell’intera storia/esperienza. Ogni episodio è spiegato con la sinossi in breve della storia accompagnata dalla descrizione dei contenuti ed enigmi correlati e dal processo che (idealmente) gli spettatori devono seguire per svelare la storia e risolvere i giochi. Serve poi una lista di dettagli critici per l’esperienza in modo da poter verificare la correttezza della sceneggiatura, del girato e di qualsiasi altro contenuto prodotto.
Con Frammenti siamo partiti da fogli di carta e siamo arrivati ad avere tutto organizzato in un lungo documento keynote più diversi spreadsheet. A ripensarci oggi sarebbe utile avere tutte queste informazioni separate e disponibili in una sorta di wiki di produzione. In questo modo ogni personaggio, luogo o evento può avere una descrizione precisa e dettagliata che può essere riutilizzata dalle diverse persone coinvolte nel progetto.
Durante lo show abbiamo continuato a seguire e interagire con i giocatori attraverso il personaggio del Maestro. Il periodo della messa in onda è stato caratterizzato da molta improvvisazione perché, nonostante avessimo passato molto tempo a pianificare l’esperienza, la reazione dei giocatori ci ha in un certo senso spiazzato, costringendoci giorno dopo giorno a introdurre nuovi personaggi e storie, seguendo le reazioni del pubblico.
Xmp: Spiegami meglio questo aspetto. In che termini le reazioni dei giocatori vi hanno spiazzato?
Marco Zamarato: Era il nostro primo esperimento di questo genere. Sinceramente non sapevamo che tipo di reazione aspettarci dal pubblico. Per me la cosa più sorprendente è stata la velocità e l’intensità delle interazioni tra i giocatori. Molto spesso gli enigmi e i giochi venivano risolti in poche ore invece dei giorni che avevo previsto. In alcuni casi la discussione si concentrava su un dettaglio che non avevamo pianificato ed era puramente casuale. Normalmente un film o una serie tv richiedono un livello di coerenza e precisione nel montaggio inferiori a progetti come Frammenti. Nelle riprese di Frammenti, Valerio doveva assicurarsi che luoghi e tempi fossero sempre reali e precisi (come in un documentario).
Durante Frammenti ci siamo trovati con molto più tempo da gestire e con alcune fortuite coincidenze che abbiamo sfruttato per ampliare la storia. Ad esempio in una delle ultime puntate di Frammenti i giocatori hanno dovuto recuperare delle informazioni da diverse città italiane e consegnarle a una persona a Milano per ottenere nuove istruzioni; questa sequenza non faceva parte della sceneggiatura ufficiale ma è stata costruita durante lo show. A questo punto i ruoli non esistevano più, noi autori stavamo giocando assieme alla community di Frammenti.
Xmp: Come cambia la prospettiva quando da autori si diventa giocatori insieme al proprio pubblico? Quali i rischi e quali le opportunità?
Marco Zamarato: Il lavoro migliore che puoi fare è quando non ti accorgi più di essere al lavoro, quindi la principale opportunità è il divertimento, e l’imprevedibilità. Non credo ci siano particolari rischi a parte qualche notte insonne, del resto non puoi chiedere alle persone di divertirsi solo dalle 9 alle 5. Il discorso sulla prospettiva è un po’ diverso perché per un autore è come continuare a vedere un lavoro ormai finito ritornare in vita e chiedere nuova attenzione, non è necessariamente un male ma in un certo senso può rendere difficile pensare a nuove storie.
Xmp: Secondo te esiste una via italiana al narrare espanso? Esistono peculiarità, specificità italiane in questo ambito?
Marco Zamarato: Domanda difficile. Non credo ci sia una via italiana al narrare espanso, o almeno, io vorrei che non ci fosse. L’unica specificità che mi viene in mente è la nostra lingua, che in questo caso non gioca a nostro favore perché rende qualsiasi prodotto transmediale confinato all’Italia e riduce inesorabilmente il numero di potenziali spettatori. Diciamo che in generale non mi piace l’idea di ‘italianità’ o di un modo ‘italiano’ di fare le cose.
Il parallelo con il cinema sembra funzionare anche qui, il fantasma dell’italianità continua a impedirci di produrre film e serie tv che possono sperare di interessare pubblico e distribuzioni più ampi all’estero. Eppure potrebbe essere possibile, basta pensare alle serie tv danesi, i romanzi svedesi, i videogiochi finlandesi, la musica islandese e cosi via. Ci sono risorse come la storia e il territorio italiano che potrebbero essere utilizzate ma per funzionare dovrebbero essere sfruttate in chiave più internazionale.
Xmp: Un’idea in questo senso? A cosa, di italiano, daresti respiro internazionale narrandolo in maniera espansa?
Marco Zamarato: Oltre ai soliti sospetti (cibo, vino, storia, arte) ci sono parecchie storie, legate ai luoghi e alle famiglie che li hanno costruiti e abitati che potrebbero diventare la base di ottime storie espanse. Non penso ai grandi eventi ma alle piccole storie, ai retroscena, alle parti che di solito non finiscono nei libri di storia o nei documentari. In questo senso la famiglia è allo stesso tempo uno dei simboli italiani e il luogo dove naturalmente realtà e mitologia/finzione (sempre familiari) si uniscono.
Ricordo ad esempio un film/documentario di Alina Marazzi di alcuni anni fa, Un’ora sola ti vorrei in cui la regista ricostruisce la storia della depressione della madre attraverso frammenti dei suoi diari e dei filmati girati dal nonno. La storia personale trionfa e supera l’italianità eppure nello sfondo resta anche un pezzo di storia di Milano, di certi luoghi che improvvisamente diventano più intimi e familiari. Quante volte ho camminato sotto i portici della Hoepli senza sapere questa parte della storia di quella famiglia.
Il trucco sta appunto nel raccontare queste storie nel modo giusto, lasciando scivolare l’italianità nello sfondo, senza ostentarla.
Xmp: Puoi citarmi – escludendo ovviamente Frammenti – validi prodotti italiani in ambito transmedia storytelling?
Marco Zamarato: Purtroppo non sono in grado di farlo. Dopo aver terminato Frammenti ho lasciato l’Italia trasferendomi prima a Helsinki a poi negli Stati Uniti e tornando a occuparmi di UX design, disciplina che in alcuni casi tocca ancora lo storytelling e il transmediale ma che spesso mi porta a lavorare in ambiti completamente diversi. Questi cambiamenti non mi hanno permesso di restare aggiornato su quanto sia accaduto in Italia negli ultimi anni in questo ambito.
All’estero ho osservato alcuni prodotti interessanti, non tutti strettamente transmediali, ma secondo me meritevoli di attenzione per le loro implicazioni per il genere:
The Silent History, un romanzo espressamente progettato per dispositivi mobili, come dicevo, non strettamente transmediale ma i ragazzi che lo hanno prodotto sono riusciti così bene a sfruttare tutte le potenzialità dei device senza perdere di vista la qualità della narrazione e dell’esperienza. Un altro esempio di formati (questa volta video) ed esperienze ripensate per tablet è Haunting Melissa.
S di JJ Abrams, l’idea non è nuova ma Abrams ha contribuito a sdoganare e promuovere la narrazione transmediale e sembra intenzionato a proseguire su questa strada.
Ingress che dopo l’acquisizione di Google si prepara a trasformarsi da gioco a piattaforma che permette agli sviluppatori di aggiungere dinamiche di gioco geo-localizzate alle loro applicazioni.
Remedy, Spielberg e la nuova XBox One: durante la presentazione della nuova console Xbox Microsoft ha annunciato diversi progetti interessanti tra cui una serie TV diretta da Spielberg e un videogioco, Quantum Break, prodotto da Remedy annunciato come un mix tra serie tv e videogame. Sono curioso di vedere cosa accadrà nei prossimi mesi perché questi progetti sembrano nascere al giusto incrocio tra tecnologia (la piattaforma Xbox, smartglass, microsoft) e contenuto.
Ancora una volta si tratta di incrociare tecnologia, format narrativi e abitudini/canali di fruizione.
Xmp: Esistono professionisti italiani che si stanno mettendo in luce in questo ambito?
Marco Zamarato: Per la stessa ragione di prima non ti so rispondere ma spero che ce ne siano tanti.
Xmp: Retorica sui cervelli in fuga a parte…dal punto di vista professionale lavorare negli Stati Uniti quale valore aggiunto ti ha dato rispetto all’Italia?
Marco Zamarato: Concordo, evitiamo la retorica! Anche perché non sono in fuga da niente. Credo di essere stato solo molto fortunato e curioso, perché faccio un lavoro che permette un buon grado di nomadismo. Ho sempre sognato di poter viaggiare e vivere in luoghi diversi e il mio lavoro è una buona giustificazione per continuare a farlo. Direi che il valore aggiunto principale è nei luoghi, nelle persone, nel cibo e in tutto quello che grazie e oltre al mio lavoro riesco a provare. Poi di sicuro cambiano i clienti, i progetti e i colleghi e in questo momento in particolare qui in California ho la sensazione di essere più vicino a molte delle tecnologie che hanno contribuito a definire la nostra vita. Quindi è interessante ma a livello pratico il mio lavoro quotidiano non cambia da quello che farei se fossi in Italia, quindi nessuna fuga.
La mia sensazione è che noi siamo sempre troppo pessimisti nei confronti dell’Italia e noi stessi e troppo ottimisti verso tutto il resto. Da qui deriva la polarizzazione che porta ai “cervelli in fuga”, con relativa benedizione o condanna della pratica, unite a una costante, pesante consapevolezza di questa “italianità”.
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Grazie ancora a Marco Zamarato per la sua disponibilità…
A presto.
Cor.P
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