Eccoci all’ultima parte dell’intervista a Salvatore Iaconesi, che alla fine della seconda parte sottolineava quanto fosse importante ‘imparare ad imparare’, unica competenza che ci difende da una rapida obsolescenza cognitiva, inammissibile per chi voglia lavorare alle frontiere dello storytelling…–
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Xmp: In Italia esistono sufficienti professionalità connesse al narrare transmediale? o forse, ancor prima…nel mercato italiano c’è richiesta di professionisti del tipo che stiamo cercando di descrivere?
Salvatore Iaconesi: Come dicevamo: c’è confusione, innanzi tutto. In Italia le aziende, di base, quando parli di transmedia, pensano crossmedia. Vogliono il sito, la app, il social network, il banner, il volantino e il flash mob. Che va bene, per carità. Ma di base tu gli racconti una cosa e loro ne capiscono un’altra. Alla resa dei conti, i processi più interessanti, di solito, avvengono al contrario. Sei tu che, in qualche occasione, nelle conferenze, in una performance artistica o in un qualche modo “altro” fai transmedia. Bene. In modo che se ne sentano gli effetti. Quando gli effetti sono stati percepiti, quando l’”inganno” si è materializzato nel mondo, solo allora le persone capiscono, e ti chiamano. Ed, in un certo senso, è buffo. Perché, di nuovo, è l’”inganno” che fa materializzare il reale, che gli fa prendere forma nella mente delle persone, che attiva il desiderio. È il transmedia, insomma. Transmedia che genera il desiderio di transmedia. In questo c’è un grande ostacolo: che bisogna iniziare dal fare. E molto spesso (penso ai giovani) non ci sono le risorse per iniziare a fare. Ma l’arte aiuta molto, perché permette di iniziare anche in modi minimali, molto economici, basati più sul concetto che sulla potenza di fuoco, più sull’ironia che sui soldi, più sull’espediente che sugli aspetti quantitativi. E sul descrivere nuovi immaginari e, di conseguenza, una nuova percezione di possibilità. Penso, ad esempio, a Kook. Si definiscono ArtGency e fanno transmedia a tutti gli effetti. E iniziano proprio dall’arte, in un modo molto intelligente.
Le professionalità? Ci sono, eccome. Solo che è raro, nella mia esperienza, che siano coordinate secondo metodologie e modelli efficaci. È molto più comune la classica catena di montaggio della comunicazione. A compartimenti stagni, su commesse da manovalanza, magari impostate da chi non fa comunicazione, prendendo in considerazione solo il budget come parametro decisionale. Il risultato è che ottimi professionisti e talenti finiscono a produrre le cose “al chilo”, oltretutto non potendo portare alle aziende quel valore che potrebbero ottenere con gli stessi budget. Ci sarebbe forse da ripensare in più di un modo la catena decisionale in queste situazioni, per far decidere le strategie di comunicazione a chi effettivamente fa comunicazione di professione. L’unico problema, a livello di professionalità, è culturale (si legge male e troppo poco) e di auto-racconto. A che serve che ti faccio imparare come fare una App se poi non sei in grado di raccontarmi in modo decente (o anche solo in buon italiano) cosa fai, la tua visione e la tua filosofia?
Xmp: Raccontare per professione, oggi…pensi sia cambiato molto come mestiere?
Salvatore Iaconesi: No, non vedo un cambiamento nel mestiere del raccontare. Se non nel senso della disponibilità di strumenti diversi. Tolkien si sarebbe divertito un mondo, oggi. Di nuovo: raccontare non è un fatto tecnologico. Usa le tecnologie, ma non è una attività tecnologica. Ogni storyteller degno di nota si è sempre posto come obiettivo la creazione di mondi ed il coinvolgimento delle persone, per trasformarli in performer desideranti.
Xmp: In contesti narrativi di questo tipo, è ancora possibile distinguere il marketing della storia dalla storia vera e propria? Ed ha ancora senso farlo?
Salvatore Iaconesi: Finalmente il marketing non può più permettersi di essere fuori dal mondo. Forse non lo è mai stato. Ma di sicuro tanti non se ne accorgevano. Siamo nell’era del simulacro: una sospensione della capacità di distinguere cosa è “vero” da cosa è “falso”. Questa cosa ne provoca un’altra meravigliosa: l’emergere del “possibile” e della conversazione, suscitata da quest’ultimo. Non sono più importanti i prodotti o i servizi. È importante comprendere cosa le persone percepiscono come possibile, e il dotarsi degli strumenti per aprirvi una conversazione, per spostare – tutti insieme – questa percezione di possibilità un po’ più in qua o in là. Google, ad esempio, ci insegna proprio questo, in un continuo stato di narrazione transmediale che mira alla disruption, al cambiare le carte in tavola. Chi lo ha visto mai un Google Balloon, o una Google Car? Non importerebbe neanche tanto se non esistessero, se fossero dei fake. Quel che importa veramente è che rappresentano un mondo possibile, per come è percepito dalle persone. E che questa descrizione di mondi cambia le carte in tavola e, facendolo, diventa vera. Tanto da influenzare mercati ed economie (avete presente Amazon e i droni da consegna a domicilio?). Il marketing, finalmente, coincide con la storia, con la narrazione, con la conversazione, con la performance partecipativa.
Xmp:Parlami di Incautious Porn
Salvatore Iaconesi: Incautious Porn è un viaggio nella percezione della privacy. È una opera d’arte un po’ particolare. L’opera, infatti, non è un quadro o un video, ma una azienda, creata appositamente. L’azienda ha uno strano modello di business: cattura da migliaia di siti internet pornografici, principalmente siti di webcam e appuntamenti erotici, quei messaggi pubblici in cui le persone hanno lasciato, oltre ad un commento piccante, anche il loro numero di telefono. In chiaro, leggibile anche senza eseguire alcun login. “Hey baby! Chiamami che ci divertiamo: 3673899****”. L’azienda prende questi commenti e numeri di telefono e ci fa dei quadri generativi. Le persone li possono comprare. Questo è un comportamento dilagante, molto comune: Incautious Porn ha trovato più di 400mila commenti di questo genere, ma ne avremmo potuti trovare molti di più. È un chiaro segno che qualcosa di molto potente si è trasformato nel modo in cui percepiamo la nostra privacy. Incautious Porn, quindi, vende questi quadri molto particolari, e permette alle persone, pagando, di controllare se sono finiti nel nostro database e, pagando molto di più, di rimuoversi. Ovviamente è una performance artistica, e non desideriamo causare danni alle persone. Se esplorate il sito troverete, infatti, molti modi in cui evitiamo di causare problemi. Se avete fegato provate a versare i 1000 euro richiesti per essere rimossi dal database. 😉
Incautious Porn ci è molto caro perché esemplifica una modalità molto potente in cui una narrazione transmediale può facilitare l’emergere di forme di collaborazione tra arti, scienze, giurisprudenza, e società.
È una performance artistica utilizzata per comprendere meglio la trasformazione della percezione della privacy, i modelli di business online (veniamo venduti centinaia di volte online, ogni istante, l’unica differenza è che Incautious Porn ce lo dice esplicitamente), per esplorare le forme di possibile (o impossibile) tutela disponibili per persone ed aziende, e per far emergere la percezione di questa trasformazione, in modo che se ne possa discutere, e immaginare modelli nuovi e più giusti.
Xmp: Oltre a questo vostro prodotto, hai altri casi di studio di ‘narrare espanso’ italiano che pensi valga la pena segnalare?
Salvatore Iaconesi: Ce ne sono moltissimi, soprattutto “di movimento” e relativi alle arti e ai nuovi modi di esprimersi.
Il già citato San Precario, o Anna Adamolo (protagonista dell’Onda Anomala dei movimenti studenteschi), o Anonymous. Tutti progetti transmediali che ottengono lo scopo di mutare la nostra percezione del possibile attuando performance partecipative, che intervengono sugli immaginari e che creano spazi di espressione, non prodotti finiti.
Xmp: Questa è l’ultima…in conferenze ed altre occasioni ti ho visto in azione con Oriana Persico, che insieme a te è l’anima di Art is Open Source (AOS). Insieme funzionate davvero bene, si percepisce una coesione molto forte ed al contempo del tutto istintiva…mi piacerebbe concludere con qualche tua riflessione libera, sul vostro sodalizio artistico accademico…
Salvatore Iaconesi: …ci sarebbe troppo da dire. Per adesso basti dire che io e Oriana siamo noi stessi una performance transmediale, che coincide con la nostra vita, e che si intreccia tra l’arte, la comunicazione, gli immaginari, i corpi, la politica e la visione possibilistica (oltre l’utopia) sul mondo. È una relazione molto complessa, perché combina due soggetti che sono allo stesso tempo degli individui, una coppia e un media.
Questi due loschi figuri transmediali hanno come scopo principale proprio quello che abbiamo scritto in precedenza: creare spazi performativi partecipativi inclusivi, in cui le persone possano creare e adottare autonomamente nuovi immaginari e, così, trasformare il loro senso di possibilità. Lo facciamo con l’arte, l’insegnamento, la ricerca, e nel quotidiano. In un certo senso, la consideriamo come l’Arte del Presente: un arte che non mira a creare oggetti (per quanto interattivi), ma spazi possibilistici e di espressione, per altri. Realtà Sospese, più che Aumentate o Virtuali, in cui creare autonomamente nuovi codici, coi corpi, i desideri e la collaborazione e partecipazione a nuove forme di spazi pubblici. È questo che ci interessa veramente: la trasformazione dello Spazio Pubblico nell’era della conoscenza, dell’informazione e della comunicazione, e di come questo trasforma le persone, le loro relazioni, emozioni e interconnessioni.
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