Eccoci alla seconda parte dell’intervista a Salvatore Iaconesi, che al termine della prima parte aveva messo in parallelo il funzionamento del nostro cervello con alcune delle tecniche narrative utilizzate nel transmedia storytelling.
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Xmp: Il ruolo centrale acquisito dai videogame nella cultura popolare, ha influenzato la diffusione di formati narrativi ludicizzati (penso in particolare a quelle parti del racconto in cui si cerca di garantire maggiore possibilità di interazione al pubblico)?
Salvatore Iaconesi: Il mio parere è che questo elemento sia una questione di “codifica”. Il ruolo dei videogame ha influenzato la diffusione di formati narrativi ludicizzati codificati. Abbiamo sempre giocato. Forse anche di più. Il gioco è sempre stato importantissimo per come lo usiamo per imparare a fare le cose, a collaborare, a relazionarci con gli altri, e così via.
Quel che è interessantissimo è che l’esperienza di gioco diventa sempre più codificata da altri. Sta, sempre di più, svanendo la possibilità per i giovani di creare i propri codici, a vantaggio della possibilità per gli adulti di creare i codici per loro. Sono sempre minori le possibilità per i bambini, ad esempio, di trovarsi a giocare in tempi/luoghi/modi non codificati, non decisi da altri: questo è il tempo/luogo in cui si gioca; questa è la palestra; questo è il campo da calcio; questo è il videogame.
Prima dei videogame (e prima di tante altre cose, in realtà) c’era una maggiore esplorazione. Per dirla con i termini che abbiamo usato prima, c’era una maggior performatività, autonoma, creativa al di fuori dai codici, in cui, addirittura, creare i propri codici. I bambini erano in un continuo stato di creazione di mondi, transmediale. In un certo senso ci siamo trovati a diventare utenti, fruitori. Da performer a fruitori di servizi. È, evidentemente, una questione di codici. E, secondo me, il transmedia è una enorme opportunità, in questo senso. Nel senso della possibilità di abilitare nuovi metodi per stimolare di nuovo questa modalità performativa nelle persone, per creare i propri codici e condividerli – e metterli in discussione – con gli altri.
Xmp: Tra quelli tradizionali, c’è un medium che più degli altri sta dimostrando flessibilità nell’adattarsi a queste produzioni che si rilanciano da un canale distributivo all’altro?
Salvatore Iaconesi: È una domanda molto difficile. Perché il cambiamento è di tipo mutagene: quando avviene il “media” non è più lo stesso: occorrerebbe trovargli un altro nome.
Ma, se proprio vogliamo farlo, potrei dire il giornale, il quotidiano. Che, appunto, non è più lo stesso. È diventato una costellazione coordinata di oggetti (fisici e digitali) e processi. Include dati ed esperienze. Gallerie di immagini ed eventi. Spin-off e narrative parallele. Conferenze e flash-mob. Concorsi e guerrilla. Applicazioni mobile e contributi per la costruzione di smart cities. Il tutto per definire, se sono bravi, una esperienza unica e partecipativa, che però si stenta ad identificare con un “quotidiano”. Ma è quello che sta avvenendo. E, infatti, nei “quotidiani” iniziano ad apparire figure professionali inusitate: sviluppatori, ingegneri, organizzatori di eventi, sceneggiatori, artisti, designer di ogni genere, scienziati.
Xmp: Ed i Social network? Mi sembra che oggi sia imprescindibile, nella costruzione di universi finzionali, la previsione di una presenza sui social network più diffusi…che valore aggiunto possono dare, secondo te, al racconto di una storia?
Salvatore Iaconesi: Profondità e performance partecipativa. Come detto: è il maggior determinante della riuscita di ogni storia. I social network permettono di stabilire la relazione, il network attraverso cui, a tutti gli effetti, la storia verrà narrata. Per essere “bravi”, dovremmo mirare a far sì che la storia diventi una piattaforma di espressione, un network relazionale, condotta da un incipit che attuiamo attraverso la narrativa transmediale: un “mondo” creato per far sì che le persone si attivino nella creazione di mondi.
Xmp: Quali competenze specifiche dovrebbero caratterizzare un professionista che intenda affermarsi in questo settore come transmedia storyteller?
Salvatore Iaconesi: È necessario chiarire una cosa. Per esempio: come si diventa “buoni scrittori”? Ci sono, ovviamente, vari livelli di interpretazione di una domanda del genere. Se la buttiamo con le competenze tecniche, uno scrittore potrebbe usare penna e calamaio, mentre un altro potrebbe usare del software di l’intelligenza artificiale per creare i suoi testi. Sono due opzioni fattibili e, tra l’altro, esistenti. E in mezzo ai due estremi c’è tantissimo spazio. Non penso che il punto di partenza debba essere tecnico o tecnologico, specialmente nell’era dell’informazione e della condivisione dei saperi. Penso che il punto di partenza debba essere culturale, e di immaginario. Attenzione: non parlo di immaginazione, ma di immaginario.
Per creare storie, bisogna leggerne tante. Di tanti tipi. Di tanti tempi, argomenti, momenti storici, modi di scrittura diversi. Bisogna essere in grado di analizzare le storie, comprenderle, criticarle. Vedere quali storie si scrivono e perché. Pinocchio è una storia per bambini, ma racconta anche il momento storico in cui è nata, lo spirito del tempo, gli approcci filosofici. Sono tutte cose fondamentali. Specialmente se si ambisce a creare una storia. La tecnica e la tecnologia sono semplici al confronto. E non deve sussistere dubbio alcuno: chi scrive la storia non è un tecnico, e neanche un tecnologo. Può accadere, ma non è necessario.
Quindi “come si diventa un buon transmedia storyteller”? Leggendo. Leggendo tanto. E capendo, in profondità le storie, il loro perchè, le loro strutture, il modo in cui sono costruite, non solo sul “libro” (o altro/i media), ma soprattutto nel modo in cui si sono sviluppate, quali link stabiliscono, quali significati accolgono, quali ne creano, a quali codici fanno riferimento. Ovviamente: siamo nell’era digitale. Occorre conoscerla, inclusi gli strumenti che le persone usano per esprimersi, per comunicare, per lavorare e consumare. E occorre capire i perché di tutte queste cose. Bisogna essere, in questo senso, degli antropologi, degli etnografi. Quindi, in sintesi: scrittori e antropologi. E, soprattutto, dotarsi di metodologie per lavorare in gruppo, per collaborare, per creare idee e discuterle in team.
Xmp: Ma tra i tanti…quale secondo te un libro di stimolo fondamentale per chi voglia narrare espanso?
Salvatore Iaconesi: Io ho tre favoriti: il Simulacres et Simulation di Jean Baudrillard, praticamente tutto Jorge Luis Borges, e Neuromancer di William Gibson. Il primo per la sua potenza nel descrivere il concetto di simulacro. Borges per la sua capacità di evocare scenari in cui la rappresentazione è più vera del vero. E Gibson per la cura con cui interpreta il concetto di Near Future Design, inteso come futuro veramente prossimo (anche oggi pomeriggio), capace di osservare il presente, evidenziarne le modalità ed utilizzarle in maniera transmediale (in senso “interiore”, come dicevamo prima) per suscitare desiderio e, quindi, trasformazione.
Xmp: Near Future Design… in sintesi di cosa si tratta, e quali opportunità offre a chi – e qui uso volutamente un termine il più possibile generico – voglia ‘creare’?
Salvatore Iaconesi: C’è una definizione di Superflux che mi piace moltissimo: si tratta di partire dalla descrizione della “realtà consensuale”, e di unire la descrizione dello “strange now” e delle “possibilità future” con l’obiettivo di descrivere il “new normal”. La realtà consensuale è il mondo che ci circonda, come mediamente lo percepiamo: le cose ordinarie, le narrative stabilite, usuali, la nostra quotidianità.
Lo Strange Now si compone attraverso l’osservazione etnografica dell’emergente, delle cose che “avvengono”, e che però non sono ancora pienamente codificate, comprese e assunte. Un perfetto esempio di Strange Now di qualche tempo fa era il comportamento che le persone avevano ai concerti, usando gli smartphone: perché diamine si perdono il concerto per fare delle foto col cellulare? Ce lo chiedevamo, non capivamo, e adesso è diventata la norma, tanto che ci sono dozzine di servizi atti a facilitare questo comportamento e a monetizzarlo. Le Possibilità Future sono derivate dall’osservazione, anche in prospettiva, dello stato dell’arte e delle tecnologie: quali sono/saranno le tecnologie migliori, più interessanti, più lavorabili, più malleabili del prossimo futuro?
Il tutto messo insieme per progettare il New Normal, ciò che sarà normale, usuale, tra poco, tra un mese, un anno, o anche oggi pomeriggio. Questo è, in sintesi, quello che fa un near future designer. È molto importante. E in un lavoro del genere la possibilità di comporre narrative transmediali è fondamentale.
Xmp: Mi sembra che tutto questo si leghi molto con il Design Fiction…anche in questo caso ti chiedo di chiarire ai non iniziati di cosa si tratta…
Salvatore Iaconesi: Il Design Fiction consiste nella realizzazione di prototipi diegetici per creare una sospensione della capacità di giudizio sul reale, al fine di abilitare una visione possibilistica del mondo. È fantascienza narrata attraverso degli oggetti. Se io ti faccio vedere un teletrasporto che, a tutti gli effetti sembra funzionare (e che magari funziona davvero, o ha tutti gli effetti che causerebbe l’esistenza di un teletrasporto), tu, immediatamente, avresti una sorta di illuminazione, di shock culturale, capace di trasformare in maniera radicale la tua percezione di “cosa è possibile”. Questo è un effetto potentissimo, al di là di ogni libro di testo, di qualsiasi lettura: l’oggetto è lì, di fronte a te, e ti obbliga a cambiare la tua visione del mondo, a spostarti un po’ più in là, in un altro mondo, in cui cose diverse sono possibili. Il Design Fiction è uno spazio, crea degli spazi: nuovi, molteplici e possibilistici.Rende facile prendere parte alla performance del futuro, alla creazione del futuro, tramite degli oggetti che entrano in modo molto naturale nel nostro “campo di normalità”, cambiando il modo in cui ci esprimiamo, aggiungendo parole al nostro vocabolario, mutando la nostra percezione del mondo e, soprattutto, il nostro immaginario. Ora è sempre più semplice ragionare in questo modo: è possibile creare oggetti elettronici, gadget e oggetti di design a basso costo, usando componentistica semplice ed accessibile, e con la stampa 3D, per esempio.
Xmp: Esistono tecniche e strumenti specifici (bibbie transmediali, applicativi ad hoc?) per scrivere questo tipo di prodotti?
Salvatore Iaconesi: Io ho i miei, ma per altre persone potrebbero essere altri. Uno Google Keep e un Tumblr privato per prendere appunti. Sempre, continuamente. Ogni cosa che vedo, sento, di cui ho esperienza: un appunto, una foto o breve video. E me li riguardo spesso: cambio le tag, li riordino, li osservo per periodo o argomento, li reinterpreto. Leggo tanto. Di tutto. Dai manuali delle istruzioni, ai classici, alla fantascienza, ai libri di testo e i manuali, ai libri di Design e Architettura, alle riviste di ogni genere. E faccio foto anche di questi, ci prendo appunti sopra, strappo pagine, faccio screenshot…Uso molto Google Calendar: faccio calendari su calendari, che seguo (e riorganizzo) in maniera maniacale. Li uso per ricavarmi momenti per tutto: dalla lettura, all’andare dal commercialista, a incontrare persone, a fare giri a caso per la città in cui mi trovo. Li riorganizzo spesso, cambio le cose, cancello, ne aggiungo di nuove. È importante avere un senso del tempo, sapere quanto ci vuole a fare le cose, per me e per gli altri, anche le più strane. Nei miei calendari troverete anche scritte di tipo “qui non ci sono”, il che vuol dire che è un tempo che dedico allo scomparire, al de-codificarmi, al fare cose strane, all’andare in un posto a caso, in cui magari non sono mai stato prima. È fondamentale iniziare a capire quali sono i momenti più rilevanti delle nostre giornate, del nostro tempo, e costruire a partire da quelli. Non cedere alle distrazioni, alla mancanza di attenzione. Diventare performer attivi nello stabilire priorità, urgenze, importanze relative. Per gli strumenti tecnici: non ce n’è un set fisso. Con il tempo ho imparato ad imparare. Non è tanto importante sapere usare degli strumenti specifici. È importantissimo, invece, imparare come si fa ad imparare ad usare qualsiasi cosa entro una settimana. E magari anche a diventare più bravi dopo. Ma è importantissimo imparare ad apprendere i fondamentali di qualsiasi cosa, e a buttarsi, imparando con l’esperienza. Questo è uno skill decisivo. Non ti farà diventare mai obsoleto, e avrai sempre un vantaggio competitivo su tutti quelli che non lo possiedono. Nei miei calendari maniacali esistono sempre degli spazi per imparare cose nuove, per la sperimentazione, fine a sé stessa.
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Alla prossima settimana per la terza e ultima parte dell’intervista.
A presto.
Cor.P
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