Defiance: play the game and/or watch the show? (2)


Il versante televisivo di Defiance è sviluppato in una serie che, per la prima stagione, conta dodici episodi. Non mi soffermo sul plot, che è quello descritto nella prima parte per il franchise nel suo complesso. In uno scenario post apocalittico (che deve molto a Mad Max), ricco di suggestioni western (che nel videogioco, in gran parte, si perdono) l’elemento di maggiore interesse della serie è la rappresentazione degli alieni (anche) come profughi in fuga da un sistema solare prossimo alla distruzione: cercano qui un futuro migliore, e questo li accomuna a molti migranti. Quelle che arrivano sul nostro pianeta sono, inoltre, razze aliene divise da millenni di lotte e pregiudizi: la convivenza pacifica è un obiettivo difficile non solo con gli umani, ma tra gli alieni stessi. Mia Kirschner, che nella serie interpreta Kenya, descrive (1) la serie come una

immigrant tale… a story, for me, about what happens when these cultures, who have never intersected, come together in one place and how they get along. What I like about the show is the element of realism and the culture clashes that happen, the sad violence that comes along with it, the stories that and the beautiful reconciliation that comes along with it.

Anche il produttore esecutivo Kevin Murphy mette in evidenza questi aspetti:

What’s sort of unusual about this is that it is not simply an alien invasion show. This is really more of a melting pot immigrant drama in that these aliens, the Votans, seven different races, don’t necessarily like one another. Back on their home world they may have been enemies; one race may have conquered the other. They came together out of necessity because their own solar system was about to be destroyed, and it was, “Come together or die.” So we are in a world where old millennia-long prejudices exist within the Votans. Humans are now in the mix. And everyone’s got shared history, shared alliances, shared cultures. And it’s really about, “How do you get together in a new world with all of these different perspectives and musical and cultural perspectives?” So that’s very different from an alien invasion show.”

Tematiche di questo tipo in un contesto Sci-fi, in realtà, non costituiscono una novità assoluta. Cito, tra gli ultimi, il lungometraggio District 9 (2006) ambientato nel Sudafrica del 1982: un’enorme nave spaziale aliena si staglia nei cieli di Johannesburg, dove rimane immobile per settimane, senza dare segni di vita. Il governo sudafricano decide di far ispezionare l’astronave, all’interno della quale viene rinvenuta una colonia di extraterrestri artropodi allo sbando, sporchi, stremati e denutriti. Condotti in salvo sulla terraferma, diventano presto invisi alla popolazione locale e vengono isolati in un campo profughi chiamato “Distretto 9”, dove rimarranno confinati in regime di apartheid per i successivi vent’anni…

L’alieno come metafora del diverso, del marginale è presente anche negli ancora antecedenti Alien Nation (1988),  film successivamente trasposto in una serie televisiva, e in Fratello di un altro pianeta (1984).

Alien Nation

bro

Quelli della migrazione e dell’integrazione (o disintegrazione) razziale rimangono comunque versanti non assiduamenti frequentati dalla fantascienza, che aprono notevoli possibilità in termini di approfondimento dei personaggi, dei loro sentimenti e delle loro relazioni, aspetti su cui la serie potrà ovviamente soffermarsi molto di più del videogioco, focalizzato invece sulla componente action.

Defiance, nel suo insieme, è un progetto estremamente ambizioso, con un investimento complessivo superiore ai 100 milioni di dollari, distribuiti lungo 5 anni di lavorazione.
Come visto nella prima parte, la campagna di lancio  stata fortemente centrata sugli elementi transmediali del franchise, che possono risultare di particolare appeal per gli addetti ai lavori, ma è meno probabile lo siano per il pubblico, per il quale rimane decisiva la qualità della storia e del modo in cui viene narrata, al di là del numero, tipo e livello di interconnessione delle piattaforme mediali utilizzate per raccontarla.
In questo senso l’esempio di The Blair Witch Project (1998) rimane seminale. Per il film di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez, l’utilizzo del web, che ha preceduto l’esordio sul grande schermo, è stato fondamentale per generare quell’effetto realtà risultato decisivo per il successo mondiale della pellicola, presentata come la fedele riproposizione del girato ritrovato nel cofano della macchina dei filmaker scomparsi nei boschi di Blair, dove si erano inoltrati proprio per verificare una volta per tutte, filmandola, l’effettiva esistenza della strega narrata dalle leggende locali. Logica analoga è quella con cui viene utilizzata la rete prima del lancio di Cloverfield (2008): vengono creati diversi siti web di istituzioni finzionali (Tagruato Corporation, Slusho!), in qualche modo legate alle vicende che portano al risveglio della creatura mostruosa che seminerà distruzione a Manhattan nel corso del film; una serie di profili myspace di ragazzi (ad esempio quello di Rob Hawkins) che si riveleranno essere i protagonisti della pellicola; una serie di breaking news multilingue diffuse tramite youtube che danno notizia dell’attacco alla piattaforma petrolifera Chuai Station a partire dal quale il mostro marino viene risvegliato.
In entrambi i casi la dorsale narrativa principale è un film per il grande schermo, e l’espansione diegetica transmediale sul web non è contenuto, ma strumento della campagna di lancio virale del franchise. In altri termini in The Blair Witch Project ed in Cloverfield il transmedia è mezzo di promozione, mentre in Defiance ne è oggetto, circostanza effettivamente innnovativa, ma che lascia piuttosto perplessi…è questo l’unico elemento di attrazione di un progetto che, considerato il budget ed i tempi di produzione, dovrebbe avere ben più numerose frecce al proprio arco?
Del resto, trascorsi pochi giorni dal lancio del videogame, ed a poche ore dalla prima televisiva, Defiance sembra particolarmente interessante proprio dal punto di vista produttivo, perchè per la prima volta lo sviluppo della parte videoludica e di quella televisiva sono avvenuti, ab origine, in parallelo. Questo ha comportato reciproche influenze, reciproci stimoli e reciproche limitazioni. Del ruolo vitale del mythology coordinator, che ha curato il contatto e l’interscambio giornaliero tra i due gruppi di sviluppo, per garantire la creazione di un universo condiviso totalmente coerente, ho già parlato nella prima parte. Quanto alle reciproche limitazioni, ai compromessi, mi limito all’esempio che gli stessi produttori esecutivi riportano nelle numerose interviste rilascite in questi giorni.
Gli autori della serie, nel solco di quella contaminazione tra Sci-fi e western che lo show ha comunque mantenuto, intendevano dare una forte preminenza a personaggi che si muovessero a cavallo, ma questo li avrebbe resi, nel videogioco, un obiettivo troppo agevole per il nemico. Dal canto loro gli sviluppatori dell’MMO ritenevano che nell’universo di  Defiance quella del volo dovesse essere una capacità tanto degli alieni, quanto degli umani, supportati da tecnologie adeguate. Ma dal lato tvshow, questo volare per tutti avrebbe comportato un sensibile incremento dei costi di produzione, soprattutto per gli ulteriori effetti speciali che si sarebbero resi necessari. Circostanze come questa hanno reso molto stimolante, ma non sempre agevole, il rapporto tra i due comparti produttivi, come descrive bene un recente articolo dell’AdWeek:

In the end, some of the negotiations over the complexity in the game versus the effects in the show were handled as a hostage exchange: You give us jetpacks, we’ll give you horses and nobody gets hurt. “They really didn’t want to do horses in our world,” sighs Mark Stern, president of programming for Syfy—the critters present too big a target for this kind of game”. “So the agreement was, ‘OK, as long as you agree to no flying, we’ll agree to no horses.’ “[…] “We wanted flying vehicles, and Mark and his crew were like, ‘Screw flying, it’ll blow up our CG budget,’ grumbles Beliaeff. “So we ended up creating this whole mythology where the Ark ships blew up and that created this low-flying asteroid field that made flying in the world impossible.”

Altro aspetto specificamente legato al lavoro congiunto tra due industrie complementari ma così fondamentalmente diverse è stato per esempio lo sviluppare e fissare sin dalle prime battute il design delle scenografie, dei costumi, delle armi, dei veicoli, fase di lavorazione vitale per il videogame che quindi, per questi aspetti, ha dato molto alla serie televisiva, per la quale questi elementi sarebbero stati sviluppati in una fase successiva a quella della stesura dello  script.

In conclusione vale la pena ritornare sull’ultima parte dello slogan di lancio del franchise: ‘Play the game, Watch the Show, Change the world’. Questo ‘cambia il mondo’, strizza l’occhio ad un pubblico cui sembra riconoscersi il potere di intervenire sulle sorti dei personaggi di Defiance e sull’universo in cui si muovono. Questo è sicuramente vero nel videogioco, ma lo è meno nell’insieme del franchise, per il quale, a detta degli autori, l’influenza generatrice dei gamers si avrà soprattutto prima del lancio della seconda stagione. Del resto le tecniche transmediali utilizzate sono piuttosto tradizionali e prudenti, volte a conservare la fruibilità indipendente di prodotti di intrattenimento fortemente integrati, ma più dal punto di vista produttivo che da quello diegetico. In altri termini, il prodotto non è più transmediale di altri che questa caratteristica l’hanno comunicata molto meno. La forte innovazione non è nel modo in cui il racconto è transmediato, ma nel peculiare iter produttivo, nella tempistica di lancio del videogioco e della serie televisiva (praticamente concomitanti), e nei contenuti della campagna di comunicazione. Personalmente la memoria va a Ritorno al futuro 2 (1989) e Ritorno al futuro 3 (1990), che alla fine degli anni Ottanta fecero molto parlare di se per la strategia produttiva: era infatti la prima volta che due sequel venivano prodotti congiuntamente, per poi essere distribuiti in date differenti. Oggi vengono ricordati più per questo aspetto che per come riuscirono a completare la storia raccontata nel primo, impareggiabile, film della serie.

Defiance si rivelerà anche un grande successo di pubblico o rimarrà solo un interessante case study?

A presto
Cor.P

(1) Gli estratti citati in questo post sono ripresi da interviste rilasciate da componenti del cast o dello staff produttivo di Defiance ai seguenti siti specializzati: www.digitalspy.co.uk, www.gameinformer.com, www.dealspwn.com, www.gamespot.com,  www.dreadcentral.com,

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