In post precedenti ho evidenziato sinteticamente alcune caratteristiche fondamentali dello scenario sociomediale contemporaneo, che hanno contribuito in maniera decisiva all’affermarsi di modalità di racconto transmediali. Prodotto esemplare in questo senso, spesso parte di saghe ben più ampie, è l’Alternate Reality Game (Arg), gioco di realtà alternate.
Si tratta di un intrattenimento ludico, che usa le diverse dimensioni di realtà (mediate o meno) che attraversiamo nella nostra quotidianità – spot o cartelloni pubblicitari, fiction televisive, film per il grande schermo, siti web, social network, blog, mail, attori e attrici con cui interagire al telefono, online o nel mondo reale – per veicolare l’esperienza di gioco.
Tra le caratteristiche distintive di un Arg c’è quindi, come da nome, quella di alternare fasi del gioco su diversi piani di esistenza: virtuale, mediata o immediata. Da questo elemento, che è sempre più speculare al modo in cui viviamo la nostra quotidianità, ne deriva un altro che è in un certo senso la filosofia di fondo di molti di questi giochi, sintetizzata nell’acronimo Tinag (This is not a game) diffusosi nella letteratura anglofona sull’argomento. In altri termini molti Arg sono sviluppati in modo da dissimulare la loro stessa natura ludica, cercando invece, il più possibile, di incrociare con naturalezza la vita quotidiana dei partecipanti, insinuandosi tra le pieghe di abitudini consolidate. Può essere utile a dare un’idea del meccanismo in questione The Game (1997) di David Fincher, film il cui protagonista vive uno stravolgimento della propria esistenza che solo alla fine si rivelerà causato da un gioco. Nella pellicola Nicholas Van Orton (interpretato da Michael Douglas) è un ricco uomo d’affari. Il fratello Conrad (Sean Penn), per movimentare la sua monotona vita, in occasione del compleanno gli regala una tessera per iscriversi ad un esclusivo club e partecipare a un complicato e affascinante live-action game , organizzato dalla misteriosa Consumer Recreation Services (Crs). Nicholas si iscrive senza troppo interesse, ma da quel momento la sua vita diventa un incubo, in un crescendo di prove estreme e misteri intricati. Il gioco seguiterà ad essere sempre più serio e realistico finché sia lo spettatore che lo stesso protagonista dimenticheranno l’origine di tutto: The Game, appunto.
Questo thriller, oltre ad essere un ottimo prodotto di intrattenimento
, è – ed è quello che più qui interessa – un’interessante rappresentazione del paradigma Tinag, sottostante all’ideazione e realizzazione di molti Arg, che fortunatamente lo adottano con sfumature meno persecutorie di quelle rappresentate nel film! Oltre questo, l’altra differenza fondamentale rispetto alla maggior parte degli Arg è che nel film di David Fincher il partecipante intorno al quale viene costruito il gioco è uno solo, mentre solitamente queste esperienze ludiche sono pensate per coinvolgere una pluralità (da poche decine a centinaia di migliaia) di individui.
Di solito l’ingresso in un Arg avviene tramite indizi, dispersi in maniera apparentemente casuale, che i più intraprendenti decidono di seguire. Tutto questo in coerenza con il principio Tinag, rispetto al quale non sarebbe sensato lanciare un Arg, pubblicizzandolo ex-ante come gioco in quanto tale. Gli indizi così disseminati vengono chiamati rabbit holes, proprio perché sono dei piccoli pertugi esplorando i quali si viene immessi nella struttura del gioco.
Un esempio in questo senso è quello dei poster promozionali del film Intelligenza Artificiale (A.I.)(2001) di Steven Spielberg. Chi ne avesse osservato con estrema attenzione i credits, avrebbe notato il nome di Jeanine Salla, nella veste di terapista di macchine senzienti, tra quelli ben più consueti del regista, del montatore e degli attori.
I più curiosi, allertati dal suo inedito compito di roboterapista andarono a verificare chi fosse Jeanine Salla su Google, e scoprirono che lavorava alla Bangalore World University, anno 2142 (!).
Agganciando i partecipanti tramite questo indizio ed altri disseminati nei trailers del film (ad esempio un numero telefonico chiamando il quale si ricevevano ulteriori informazioni su Jeanine) gli autori di The Beast coinvolsero centinaia di migliaia di persone in una investigazione – tra siti web, numeri di telefono, scambi di mail con i protagonisti dell’Arg ed eventi dal vivo – per scoprire le cause della morte di Evan Chan, amico di famiglia di Jeanine, ritrovato cadavere all’interno della sua barca Cloudmakers, dotata di intelligenza artificiale. Durato tre mesi e conclusosi nel luglio 2001, questo gioco di realtà alternate creato da Steven Spielberg in collaborazione con Microsoft per lanciare il film con Will Smith, è riuscito a coinvolgere più di un milione di partecipanti – primo esempio di Arg di così ampio successo – suscitando l’interesse di network del mainstream mediale, quali CNN, ABC, BBC, New York Times, USA Today oltre a quello di moltissimi siti web.
Esulando dallo specifico esempio di The Beast, negli Arg ai partecipanti viene solitamente offerta un’esperienza ludica che alterna tre diverse fasi – esposizione, interazione e sfide – caratterizzate da un diverso grado di coinvolgimento attivo richiesto:
– le fasi di esposizione sono quelle in cui il ruolo dei partecipanti è passivo, in un classico flusso comunicativo unidirezionale tra emittente (gioco) e riceventi (giocatori). Sovente si tratta delle prime fasi, quelle in cui il partecipante riceve informazioni sufficienti a coinvolgerlo nel gioco e motivarlo/guidarlo verso le prove successive. Altrettanto spesso si tratta delle fasi conclusive, in cui il giocatore riceve il premio previsto per chi completa il percorso ludico.
– le fasi interattive sono quelle in cui gioco e giocatore entrano a più diretto contatto: negli Arg questo avviene ad esempio attraverso dialoghi tra i partecipanti e gli attori coinvolti nel gioco, che possono interagire al telefono, via web, tramite chat, msn, blog…oppure nel mondo reale.
– le fasi di sfida sono quelle in cui il giocatore è chiamato a superare determinate prove, nel mondo virtuale o in quello reale. Sono queste le fasi in cui il giocatore è nel gioco, e ne decide la progressione.
Ovviamente il maggiore o minore peso delle diverse fasi, determina la maggiore o minore capacità di coinvolgimento del gioco. È del resto altrettanto evidente come a queste considerazioni eminentemente ludiche ne vadano aggiunte altre di carattere economico: l’utilizzo di attori è certamente molto affascinante, ma comporta un notevole incremento dei costi. Considerazione a maggior ragione estendibile anche all’organizzazione di eventi live funzionali all’avanzamento del gioco.
Le fasi descritte sono di solito inserite in plot tipicamente investigativi, anche perché molto spesso gli Arg rielaborano i meccanismi di gioco tipici delle cacce al tesoro, come avviene ad esempio proprio in The Beast e in Lost Experience – Arg legato alla serie televisiva Lost, svoltosi tra la fine della seconda e l’inizio della terza stagione – su cui ritornerò con un post specifico.
L’Arg è quindi un tipico prodotto del panorama mediale attuale per varie ragioni. Innanzitutto per la sua la natura intrinsecamente crossmediale, consona ad un’epoca in cui, come abbiamo visto, la dieta mediale degli individui si fa sempre più variegata.
La complessità degli enigmi proposti ai partecipanti, la caleidoscopica varietà delle competenze necessarie a risolverli, incrociate con il rilievo riconosciuto al web in questi giochi di realtà alternate, rendono gli Arg un terreno fertile per lo sviluppo di dinamiche di intelligenza collettiva, come avvenuto per la community dei Cloudmakers, creata su una piattaforma yahoo group, per mettere in comune gli sforzi e arrivare in tempi più rapidi alla soluzione dell’enigma centrale di the Beast. Community che oggi, a dieci anni dalla chiusura del gioco, conta ancora quasi settemila iscritti.
Infine l’ulteriore elemento di attualità dell’Arg risiede nel suo essere un prodotto ibrido, al confine tra narrazione e gioco, tra intrattenimento e marketing, capace di coinvolgere i partecipanti in un esperienza ludica che, al contempo, può essere (e quasi sempre è) spazio promozionale per una più ampia saga transmediale, ma anche per prodotti di intrattenimento più tradizionali, come film, serie televisive, dischi. Questo in funzione di due fondamentali caratteristiche:
– da un lato un Arg, chiedendo ai partecipanti di prendere parte ad eventi, facendoli interagire, magari telefonicamente, con i personaggi del gioco, si presenta come vero e proprio strumento di marketing esperienziale: fidelizza al brand, permettendo ai giocatori di esperirlo nella propria quotidianità.
– dall’altro lato, come detto, la complessità del mistero, e le competenze necessarie per risolverlo, creano negli utenti la necessità di condividere idee e deduzioni, per aumentare le possibilità di trovare la soluzione dell’enigma in tempo utile: i partecipanti al gioco si organizzano attraverso i canali del social networking. L’Arg diventa così motore per la nascita di comunità virtuali che sono sempre più spesso elemento fondamentale per la creazione di uno zoccolo duro di affezionati e fedelissimi del prodotto/servizio che attraverso l’Arg si è cercato di lanciare.
Per tutte queste caratteristiche l’Arg non solo è un prodotto esemplare di questi anni ipermediati, ma anche una sorta di modello in scala ridotta del più ampio fenomeno della narrazione transmediale, in cui è spesso inserito come singolo segmento.
Per chi volesse approfondire l’argomento rimando al sito dell’Alternate Reality Gaming Network, una della più complete ed aggiornate fonti di informazione sull’argomento.
A presto
Cor.P
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Vi segnaliamo “Project Ragnarok”, un ARG che si sta svolgendo in questi giorni in Italia…
Qualche info:
http://www.nove.firenze.it/vediarticolo.asp?id=b3.10.17.17.54
http://www.lokee.it/project-ragnarok-arg-55376/
Due gruppi di giocatori già attivi:
https://www.facebook.com/groups/238179129670098/
http://www.lokee.it/groups/project-ragnarok/